PER NON DIMENTICARE
Il Giorno della Memoria. La solitudine dei numeri dimenticati
di Redazione
Il
Giorno della Memoria incombe, con le sue immancabili celebrazioni, su un’attualità
angosciante fatta di morti nel Mediterraneo, campi di concentramento in Libia,
marcia e prigionia dei migranti fra Messico e Usa, occupazione militare della
Palestina, instabilità politica e sociale nella Siria post-bellica, dove gli
scontri non sembrano cessati e una tregua poco promettente anche in Yemen: in
tutto, 68 paesi nel mondo attraversano conflitti di varia natura, combattuti da
più di 800 fra eserciti, milizie, gruppi separatisti o terroristici. I numeri
odierni sono inclementi e fanno eco a quelli del passato, a sorreggere la
memoria troppo fragile dell’Occidente che siamo diventati, mentre le parole di
rito sull’Olocausto si confinano nel narrare il genocidio degli ebrei,
circoscrivendo un racconto più ampio, più profondamente radicato,
inevitabilmente collettivo.Le
vittime dello sterminio nazifascista furono più di 6 milioni: se si contano le vite perse nei lager bisogna annoverare
polacchi non ebrei (1,8-2 milioni), prigionieri
di guerra sovietici (2-3 milioni), oppositori
politici (1-1,5 milioni), minoranze
etniche come rom, sinti e jenisch (220.000-500.000),
gruppi religiosi come testimoni di Geova (2.500-5.000)
e pentecostali, omosessuali (da 10.000-600.000),
malati di mente e portatori di handicap (250.000),
che, per il periodo dal 1933 al 1945, fanno oscillare le stime fra 15 e 17 milioni. E tutto ciò, senza
contare la Seconda Guerra Mondiale e le sue perdite innumerabili, con 7 milioni
di tedeschi e il contributo massimo di 20
milioni di russi, fra militari e civili.
Bisogna
leggere questi numeri, scovarli fra i documenti, consultare le note che li
esplicano, esaminare i dubbi e le domande degli storici che li hanno desunti e
infine, confrontarli con la misura colma dei sistemi di oppressione e morte
odierni. La storia che raccontano è vasta, onnicomprensiva, capillare, ci
riguarda tutte e tutti, interroga le nostre radici, i ricordi di famiglia, da
dove proveniamo, ma soprattutto, parla al nostro presente, ci chiede conto
della nostra capacità, oggi, di prendere posizione, discernere i discorsi di
odio di certa propaganda politica, osservare i fenomeni senza mai trascurare il
valore imprescindibile della vita umana, studiare e capire le cause complesse
delle fratture sociali, delle crisi e delle guerre che ci circondano, con la
ferrea volontà di non prenderne parte in veste di aggressori o indifferenti
complici, ma soltanto in quanto resistenza consapevole, eticamente
irrinunciabile.
Altrimenti,
la Shoah è inutile e ricordarla, una formalità ipocrita, un ossequio politico
privo di rispetto e contenuti, slegato da qualsiasi anelito di giustizia e
umanità. Così, infatti, ci appare l’esempio lampante e, al contempo, atterrente
dello stato di Israele, che anche da quelle ceneri era sorto nel 1948: i
settant’anni che ci separano dalla vergogna senza fine di Auschwitz non sono
stati impiegati per fare di quella memoria dolorosa base solida per una società
più equa e incentrata sulla tutela dei diritti e di tutte le minoranze, bensì,
sono stati investiti in una feroce politica espansionista, nella
militarizzazione e suddivisione coatta del territorio, nella pianificazione e
attuazione di nuove e sempre più vessatorie forme di persecuzione del popolo
palestinese, fino al suo quasi compiuto sradicamento e genocidio.
Dalla
legge del ritorno del 1950, che chiamava a raccolta tutta la popolazione ebrea
mondiale, fornendo una patria su base etnica, fino alle leggi liberticide
approvate nell’anno appena trascorso, fra le quali spicca la legge dello
stato-nazione che garantisce, formalmente, uno stato privilegiato agli ebrei in
merito alla lingua e agli insediamenti, a scapito dei diritti delle popolazioni
indigene arabe, possiamo tracciare un perverso percorso a ritroso dove la
vittima si converte in carnefice, reiterando violenze, soprusi e crimini
subiti, con eguale sconfinata determinazione e godendo della circostante
generale neutralità e indifferenza.
Non
solo a Gaza, confinata e soggetta a ripetuti bombardamenti, ma in tutti i
territori occupati dove la colonizzazione forzata da parte di Israele ha reso
sempre più isolati e residuali i pezzi di terra abitati dai palestinesi,
vediamo che l’apartheid è stato introdotto de
iure e de facto, col preciso
intento, come sottolinea il giornalista israeliano Gideon Levy “di fornire una copertura legislativa per l’annessione
formale dei territori oltre i confini sovrani riconosciuti dello Stato di
Israele” e cancellare, così, la presenza, l’identità, la cultura e la
popolazione palestinese. E tutto ciò, continua a perpetrarsi, col sostegno
delle democrazie occidentali, il beneplacito degli Stati Uniti e quello
ammirato del nostro imbarazzante governo.
L’Olocausto,
dunque, non si ricorda: lo si riconosce. E se non siamo in grado di leggerlo
fra le pagine dei giornali ogni giorno, nell’abuso sistematico che si fa legge,
negli slogan di odio, negli interessi economici che si dileguano dietro le
ragioni di una guerra e nelle morti strazianti dei più poveri, casualmente
migranti, allora forse non avrà senso spendere due parole per ricordare le
vittime che furono: vorrà dire che non sono riuscite a infrangere la forma del “numero”
per farsi volti, storie, vite, sussulto di comprensione, memoria di cosa vuol dire
“essere umano”. Mille e uno farà sempre mille. Eppure quell’uno ci sta morendo
accanto proprio adesso.
“Scrivilo. Scrivilo.
Con inchiostro comune
Su carta comune:
non gli fu dato da
mangiare, morirono tutti di fame.
Tutti? Quanti?
È un grande prato. Quant’erba
è toccata a testa? Scrivi: non lo so.
La storia arrotonda gli
scheletri allo zero.
Mille e uno fa sempre
mille.
Quell’uno è come se non
fosse mai esistito:
un feto immaginario, una
culla vuota,
un sillabario aperto per
nessuno,
aria che ride, grida e
cresce,
scala per un vuoto che
corre giù in giardino,
posto di nessuno nella
fila.”
(Campo
di fame presso Jaslo, Wislawa Szymborska)
Comunicato inviato da: Grazia
Accetta, Sefora Adamovic, Cristina Cannistrà, Lilli Ieni, Lucia Intruglio,
Cinzia Rodi.
Sull’evento
FB https://www.facebook.com/events/575067632998602/ si raccoglieranno le firme
di quante/i condivideranno queste riflessioni e articoli sui tanti genocidi nel
mondo.
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