domenica 30 dicembre 2018
TRISTE SCOMPARSA
Taormina – Il tributo di Taobuk alla memoria di Amos Oz e al suo monito di pace
di Redazione
Il
24 giugno di quest’anno, in una cerimonia che resterà a lungo impresa nella
memoria dei suoi tantissimi lettori accorsi da tutta la penisola, Amos Oz
riceveva a Taormina il Taobuk Award for Literary Excellence, momento clou del
festival letterario internazionale ideato e diretto da Antonella Ferrara: un
autentico evento da ricordare anche e soprattutto per il monito di pace e
tolleranza che il grande scrittore israeliano ha lanciato con ardente militanza
non disgiunta da sapiente ironia. “All’indomani
della sua scomparsa – sottolinea Antonella Ferrara – quel messaggio suona, se
possibile, ancora più forte e illuminante. È, perciò, con grande emozione e
cordoglio che Taobuk porge l’estremo
omaggio ad Amos Oz, nella consapevolezza del significato che assume oggi avere avuto l’onore di ospitarlo in una
delle sue ultime apparizioni pubbliche: una lectio magistralis e un incontro con il pubblico, coronati dalla premiazione e
da cui sono emersi contenuti di altissima levatura civile, com’era nella
statura etica di questa straordinaria personalità, non solo voce critica di
Israele e figura di riferimento per la cultura ebraica, ma un maître à penser a tutto tondo, che ha saputo
esprimersi attraverso i romanzi, come nei saggi e negli articoli giornalistici, dopo avere
anticipato il suo intervento con il testo inedito, pubblicato in esclusiva su
un importante quotidiano”.
Di
notevole rilievo e interesse appaiono le considerazioni di Oz che hanno
arricchito la sua densa conversazione, nel corso della quale l’autore di “Una
storia d’amore e di tenebra”, Michael mio”, “Giuda” ha toccato fondamentali
nodi di riflessione, a cominciare dal concept su cui ruotava l’ottava edizione di
Taobuk, dedicata al tema “rivoluzioni”. “La
parola rivoluzione – ammoniva Oz nella sua dissertazione – è vittima dell’inflazione, contrassegnata da
significati troppo eterogenei. Chiamiamo rivoluzione una guerra che miete
centinaia di migliaia di vittime, definiamo rivoluzionario un programma
televisivo se ci piace e designiamo rivoluzionaria una nuova moda. Così, indifferentemente. Sono assai più
severo da questo punto di vista e traccio una linea di demarcazione molto netta nel definire il significato del termine. Sono
per quelle rivoluzioni che non presuppongono
versamento di sangue, soluzione che deve essere l’ultima spiaggia, invece, da
duecento anni a questa parte la maggior
parte delle rivoluzioni hanno orribilmente prodotto troppi morti. Se fossi un medico prima di amputare
un arto, verificherei se tutti gli altri trattamenti e terapie falliscono. Mi rendo ben conto di quanto adescante sia la
rivoluzione, di come ecciti gli animi
e affascini le persone, ma, viste le conseguenze, bisogna saper stare un passo
indietro. Perciò, pur essendo un militante che ha fama di essere intransigente,
preferisco definirmi un evoluzionista
non un rivoluzionario. E da più di sessant’anni, praticamente tutta la vita, insieme
ad altri che la pensano come me,
cerco una soluzione pacifica di compromesso al doloroso conflitto che affligge israeliani e palestinesi.
Perché il rispetto della vita umana è una priorità irrinunciabile, questo è il mio credo”.
Uomo
di pace e tolleranza, anche a Taobuk lo scrittore ha manifestato il
problematico rapporto con la fede: “Non
credo in Dio, ma ne ho paura. Sono nato a Gerusalemme, ma ne so quanto voi di
Dio, non so se si tratti di un lui o
una lei, ma secondo me non è un grande amico dell’umanità. Non so darmi altra risposta se penso a quanto la
nostra vita sia piena di dolore, sofferenza, ingiustizie, orrore. Allora mi è molto difficile pensare
alla figura di questo Dio buono: dite quello che volete, ma mi spaventa e terrorizza da morire”. Ed
ecco che il pensatore svela il narratore, che da bambino sognava di diventare
un libro, come scrive in “Una storia d’amore e di tenebra”: “Sono nato nel lontano 1939 e mi rendevo conto già da piccolo, tra gli orrori della
guerra, che intorno a me morivano non
solo gli adulti ma anche i bambini. E, allora, ho pensato che fosse decisamente
una cosa più sicura se avessi avuto
la possibilità di crescere diventando un libro: è vero pure che i libri si possono distruggere così come si può
privare gli esseri umani della vita, però, può darsi magari che una coppia superstite sopravviva in una
remota libreria a Reykjavik, San Paolo, Tokyo. Ma adesso che sono cresciuto sono felicissimo di non essere diventato un
libro e trovo più piacere nel vivere
da essere umano, è molto più eccitante. Certo vuol dire anche provare dolore e
scontento, però, perlomeno non ho
passato il novanta per cento della mia vita dimenticato su uno scaffale coperto di polvere! Poi, vi voglio confidare
un segreto e per quale ragione mi considero un narratore: quando avevo cinque
anni ero gracile e, quindi, piuttosto lento, non sapevo cantare, non sapevo danzare, non ero proprio il massimo
negli sport. Dall’asilo in poi, per tutta la durata della scuola, l’unico modo che avevo per attirare
le ragazze era raccontare loro delle storie. Ho capito presto che narrare è l’azione umana più antica del mondo, più antica
della letteratura, dei romanzi lunghi
e brevi, della tradizione orale, della ricostruzione dei fatti storici. Già al
tempo delle caverne i primitivi usavano elaborare racconti, immaginate l’atmosfera,
le grotte di notte, illuminate solo dalla luce del fuoco, immaginate questi
esseri, seduti intorno ai legni ardenti, mettere a disposizione degli altri la propria fantasia e raccontare
esagerando la realtà o elaborando i loro sogni. Se mi chiedete a quando risale
la narrazione, secondo me è assai più antica addirittura della sessualità
umana, che si differenzia da quella animale perché coinvolge e riguarda sempre una storia, se non
addirittura una fiaba, nel senso che spesso noi attiriamo il nostro partner con
racconti che affascinano la sua testa. E quindi il narrare è addirittura più
antico di quanto non lo sia la
sessualità nell’uomo”.
Come
si è anticipato, c’è una compenetrazione tra i romanzi di Oz e i suoi saggi. A
fare discutere di più, è stato sicuramente “Cari fanatici”, in cui si analizza
un fenomeno che oggi sembra investire tanti piani della nostra esistenza, in
una società polarizzata, in cui le opinioni contrapposte non si confrontano ma
si scontrano in un clima di intolleranza. “Il
fanatismo – rimarcava infine Oz – è,
davvero, la cosa peggiore che ci ha portato il nostro tempo, non si colloca
semplicemente fra i gruppi di
fanatici islamici, ma c’è un gene del fanatismo presente in ogni singolo essere
umano e dobbiamo prenderne coscienza,
sia che si tratti di religione, sia che si tratti di ideologia o di qualsiasi altra tematica, dal femminismo al
nazionalismo all’arianesimo, ivi compreso tutto quello che riguarda i risvolti sessuali della nostra vita. Sono assolutamente
sicuro che Stalin e Hitler, nonostante
non penso volessero farci questo regalo, hanno suscitato il nostro disgusto per
i loro metodi, una reazione positiva
che per cinquanta, sessant’anni ci ha liberati dal coltivare sentimenti di fanatismo, razzismo, violenza.
Questa sorta di
trauma ‘pacifico’ è stata la conseguenza di quello che loro hanno perpetrato,
ma tale effetto è arrivato ad una data di scadenza e le nuove generazioni ne
sono immuni, poiché non hanno vissuto
gli orrori del fanatismo di nazisti o bolscevichi. I giovani stanno, quindi,
crescendo con un’inclinazione al fanatismo che si estende a parecchie
problematiche e tendono a paragonare le responsabilità di un genocidio a quelle
di coloro che si nutrono di carne, fino a contestarli con manifestazioni abbastanza violente.
Ricordiamoci sempre che c’è questo gene silente dentro di noi, questo piccolo fanatico dormiente. Se mi
fosse data la possibilità, creerei un antidoto, una pastiglietta del buonumore, giacché non ho mai visto un fanatico
rendersi conto di cosa sia sentirsi allegro
e ben disposto verso gli altri. Allora, potrei accettare, se non il premio
Nobel per la Letteratura, almeno
quello per la Medicina, dal momento che questa pastiglietta sarebbe un grande
servizio reso all’umanità”.
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