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 lunedì 26 novembre 2018

RIFLESSIONI

Ottimisti, pessimisti o cosa?

di Redazione


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Diciamocelo francamente: non è aggirando i problemi, sorvolando su certe tematiche prioritarie, tergiversando nei dibattiti (siano essi televisivi o di piazza) o anche dialogando in politichese (quasi esso fosse uno slang alla moda) che si innescano percorsi virtuosi in grado di delineare o far intravedere strategie vincenti e risposte credibili: i dibattiti finiscono spesso con l’essere uno sterile elenco di responsabilità pregresse cui nessuno ha mai fornito una soluzione, un rendiconto di cose non fatte da chiedere al responsabile di turno; quest’ultimo, lasciato con il cerino in mano, è costretto ad abbozzare (annaspando) soluzioni credibili per quanto accaduto in precedenza. Di fatto, quindi, si ripropone la solita scena, sempre uguale e sempre quella e ad abboccare ripetutamente non sono altro che gli spettatori di turno, vale a dire i cittadini. Non essendo, ormai, alunni delle scuole elementari o medie, che di fronte al maestro si rimpallano fanciullescamente le responsabilità, ma soggetti adulti e vaccinati, si coniuga al presente il tempo della maturità intellettuale, l’obbligo perentorio a essere responsabili, in grado di ammettere pubblicamente gli errori ed in grado di sedersi poi (e con pari dignità) al tavolo delle trattative insieme a coloro che chiedono a gran voce il perché di certe scelte; in definitiva, urge la necessità di trovare soluzioni coerenti e razionali per il “bene comune” che, in fin dei conti, è il nostro e di tutti.

Detto questo non prendiamoci in giro: la situazione attuale non ce lo consente e dobbiamo affrontare con obbiettività e risolutezza certe verità storiche scomode (e non certo belle) che da tempo non ci diciamo con sincerità. Facciamo un esempio pratico; il sig. Rossi (una moglie e due figli) ha un reddito mensile di € 1.200, ma un debito mensile di €550 che dovrà, necessariamente, ripagare nei prossimi 20 anni: riuscirà mai il sig. Rossi a ripagare, gradualmente il suo debito e contemporaneamente assicurare un minimo accettabile di tenore di vita a sé e alla sua famiglia? La risposta è “sì” se i sacrifici da affrontare sono veramente alti: alimentazione al minimo indispensabile, qualche lusso forse (o neanche a parlarne!), spese sanitarie ridotte all’essenziale oltre alla necessità (strenuamente occultata nel quotidiano) di “arrampicarsi sugli specchi”, in modo da non far percepire la severa condizione ai figli; questi, in ogni caso, non saranno in grado di competere con i loro coetanei a causa delle diverse condizioni economiche. Il sig. Rossi brucerà quindi i suoi prossimi 20 anni (sicuramente, i migliori della sua vita) affrontando sacrifici, quelli stessi che hanno tanto rattristato la ministra Fornero!

Traslando il concetto, la nostra attuale situazione nazionale (nell’ambito europeo) non dico sia quella del sig. Rossi, ma si equipara abbastanza: il nostro debito pubblico è veramente notevole. Sin dall’ingresso nella comunità europea si sapeva (ma è stato sottovalutato) che questo sarebbe stato un freno alla equiparazione tra noi e il resto d’Europa; pur essendo un Paese fondatore dovevamo realisticamente mantenere un atteggiamento decisamente attendista nei confronti del nostro ingresso nella Comunità, visto che i nostri conti non erano in regola (tanto meno quelli della Grecia che, a ogni modo, era di proporzioni economicamente limitate rispetto a noi, e anche quelle di Portogallo e Spagna in misura diversa – paesi PIGS dal “benevolo” acronimo creato per contraddistinguerci!). Se avessimo assunto una posizione come quella attuata dall’Inghilterra, forse potevamo (nel giro di qualche anno) procedere al risanamento dei conti con l’ausilio della nostra Banca Centrale, magari prefiggendoci il raggiungimento di una Lira Pesante (auspicata a suo tempo da certe forze parlamentari) e proporci poi, al momento opportuno, alla Comunità Europea con le carte in regola (o quasi) e, a ogni modo, non obbligati ad una lunga o lunghissima situazione debitoria di risanamento, risultante difficile, onerosa, piena di sacrifici e con l’aggravante di provocare essa stessa una prolungata sudditanza contabile e psicologica.

Si poteva, nel frattempo, usufruire di una condizione temporale che incoraggiasse le esportazioni, in virtù di un tasso di cambio favorevole e negoziare, come l’Inghilterra, una serie di rapporti commerciali agevolati che adesso (anno 2018/19) la stessa Inghilterra dovrà dismettere rimborsando l’Europa a causa della Brexit. L’ideale di un’Europa unita ha avuto il sopravvento e adesso non ci resta che far fronte agli impegni volontariamente sottoscritti e che giustamente ci rimproverano di non rispettare, anche se ci sarebbe da sottolineare un aspetto non secondario e importante: quando si stringono dei rapporti che obbligano a mettere in comune beni materiali, temi etici e valori democratici (condivisi, peraltro, reciprocamente), il rinfacciarsi solo procedure contabili e atteggiamenti di superiorità economica, non incarna pienamente sia le aspirazioni che gli ideali di un’unica Casa Comune Europea.

Giovanni da Messina


 


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