IL TACCUINO DI NUCCIO FAVA
Essere o non esser: Pd a rischio irrilevanza
di Nuccio Fava
Se
non l’autocritica troppo dolorosa, un esame severo, libero senza personalismi,
tentazioni rancorose e postume e scaricabarile resta fondamentale una domanda
ineludibile: perché il Pd è giunto a questo punto? Una domanda che riguarda
tutto il partito e non può essere affrontata con accuse del tipo: “il fuoco
amico” o l’ingratitudine traditrice di Gentiloni o addirittura del presidente
della Repubblica garante permanente dello Stato di diritto. Tutte scorciatoie superficialmente
semplificatrici o alibi di cartapesta per coprire l’uscita dal partito
addirittura di un ex segretario ed un ex capogruppo alla Camera. Operazione verticistica
e comunque tardiva, insufficiente a recuperare le consistenti fasce di elettori
delusi, privi ormai di fiducia verso il Pd renziano e tentate in gran numero
verso lidi di protesta e di rabbia, comunque, di netto cambiamento verso il
governo.
Il
Pd era diventato il partito di Renzi, il Pdr come l’ha definito per tempo Ilvo
Diamanti, oppure il partito della nazione secondo l’intendimento dello stesso
presunto indiscusso e indispensabile leader. Un partito scambiato con la
Leopolda annuale. Quando un leader si atteggia a capo assoluto, insensibile
alle critiche e tetragono nei suoi convincimenti fin dalla stagione presuntuosa
della rottamazione e poi alla catastrofe della riforma costituzionale, porta
alla crisi irreversibile non solo la sua leadership ma la funzione ed il ruolo
di tutto il partito. Crisi accresciuta dalla babele di dichiarazioni e presenze
mediatiche a getto continuo, di annunci, di mutamenti tattici nella
collocazione interna del partito in vista del congresso, sulle primarie, sulle
candidature, sul cambio del nome o addirittura auto scioglimento del Pd. Serve
dopo tanta confusione, a maggior ragione e sia pure con grave ritardo, un grande
dibattito – approfondito anche con autorevoli contributi esterni – sulle sfide
nuove di questo versante della storia non solo in Italia ed Europa.
Dove
c’è il rischio di un arretramento della democrazia secondo l’ispirazione
illiberale di ultra destra Orban-Salvini, insieme ad altri potenziali alleati
ben presenti in Europa anche in Germania e Francia. I capisquadra sovranisti e
nazionalisti più pericolosi sono in realtà, in modo ovviamente diverso, Trump e
Putin. Protesi verso nuove egemonie e nuovi spazi di influenza geopolitica. Non
privi, però, di problemi interni e interessanti risvegli di movimenti
democratici. Avanza, inoltre, sempre più a livello globale la potenza
tecnologica e informatica che rischia l’irruzione di nuove forme di
sfruttamento e di solitudine, ma anche portatrice di inedite possibilità di
nuova occupazione e lavoro, che bisogna però governare in termini umani senza
sopraffazione dell’economia e della finanza.
Riemerge
l’indispensabile centralità della politica, della sua funzione regolatrice
sempre attenta alla dimensione umana dello sviluppo, rispettoso di libertà e di
democrazia pluralista a cominciare dai media, dalla ricerca e da tutto il
sistema formativo. L’orizzonte da ricostruire è l’Europa democratica, la sua
autorevole collocazione nel dialogo mondiale, indispensabile per impostare un
nuovo equilibrio di cooperazione tra i popoli. Rivisitando con coraggio le
motivazioni e gli ideali che portarono alla nascita della Comunità Europea e
man mano all’Ue sia pure con travaglio e insufficienze istituzionali e
politiche. Su queste, il Pd dovrebbe operare a fondo perché il suo orizzonte
compiuto non può essere che l’Europa vissuta come grande memoria e speranza di
futuro.
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