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 lunedì 24 settembre 2018

IL TACCUINO DI NUCCIO FAVA

Essere o non esser: Pd a rischio irrilevanza

di Nuccio Fava


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Se non l’autocritica troppo dolorosa, un esame severo, libero senza personalismi, tentazioni rancorose e postume e scaricabarile resta fondamentale una domanda ineludibile: perché il Pd è giunto a questo punto? Una domanda che riguarda tutto il partito e non può essere affrontata con accuse del tipo: “il fuoco amico” o l’ingratitudine traditrice di Gentiloni o addirittura del presidente della Repubblica garante permanente dello Stato di diritto. Tutte scorciatoie superficialmente semplificatrici o alibi di cartapesta per coprire l’uscita dal partito addirittura di un ex segretario ed un ex capogruppo alla Camera. Operazione verticistica e comunque tardiva, insufficiente a recuperare le consistenti fasce di elettori delusi, privi ormai di fiducia verso il Pd renziano e tentate in gran numero verso lidi di protesta e di rabbia, comunque, di netto cambiamento verso il governo.

Il Pd era diventato il partito di Renzi, il Pdr come l’ha definito per tempo Ilvo Diamanti, oppure il partito della nazione secondo l’intendimento dello stesso presunto indiscusso e indispensabile leader. Un partito scambiato con la Leopolda annuale. Quando un leader si atteggia a capo assoluto, insensibile alle critiche e tetragono nei suoi convincimenti fin dalla stagione presuntuosa della rottamazione e poi alla catastrofe della riforma costituzionale, porta alla crisi irreversibile non solo la sua leadership ma la funzione ed il ruolo di tutto il partito. Crisi accresciuta dalla babele di dichiarazioni e presenze mediatiche a getto continuo, di annunci, di mutamenti tattici nella collocazione interna del partito in vista del congresso, sulle primarie, sulle candidature, sul cambio del nome o addirittura auto scioglimento del Pd. Serve dopo tanta confusione, a maggior ragione e sia pure con grave ritardo, un grande dibattito – approfondito anche con autorevoli contributi esterni – sulle sfide nuove di questo versante della storia non solo in Italia ed Europa.

Dove c’è il rischio di un arretramento della democrazia secondo l’ispirazione illiberale di ultra destra Orban-Salvini, insieme ad altri potenziali alleati ben presenti in Europa anche in Germania e Francia. I capisquadra sovranisti e nazionalisti più pericolosi sono in realtà, in modo ovviamente diverso, Trump e Putin. Protesi verso nuove egemonie e nuovi spazi di influenza geopolitica. Non privi, però, di problemi interni e interessanti risvegli di movimenti democratici. Avanza, inoltre, sempre più a livello globale la potenza tecnologica e informatica che rischia l’irruzione di nuove forme di sfruttamento e di solitudine, ma anche portatrice di inedite possibilità di nuova occupazione e lavoro, che bisogna però governare in termini umani senza sopraffazione dell’economia e della finanza.

Riemerge l’indispensabile centralità della politica, della sua funzione regolatrice sempre attenta alla dimensione umana dello sviluppo, rispettoso di libertà e di democrazia pluralista a cominciare dai media, dalla ricerca e da tutto il sistema formativo. L’orizzonte da ricostruire è l’Europa democratica, la sua autorevole collocazione nel dialogo mondiale, indispensabile per impostare un nuovo equilibrio di cooperazione tra i popoli. Rivisitando con coraggio le motivazioni e gli ideali che portarono alla nascita della Comunità Europea e man mano all’Ue sia pure con travaglio e insufficienze istituzionali e politiche. Su queste, il Pd dovrebbe operare a fondo perché il suo orizzonte compiuto non può essere che l’Europa vissuta come grande memoria e speranza di futuro.


 


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