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 domenica 2 aprile 2017

RIMINI

Don Bosco ieri e oggi

di Alfonso Saya


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Al meeting di Rimini, un curatore appassionato della Mostra su “Don Bosco” afferma che è stata una sorpresa straordinaria imbattersi in un uomo così, che ha un’attinenza impressionante con il problema che affligge le giovani generazioni, fatte salve le differenze tra due epoche molto distanti, a tenere banco, ieri e oggi, è “l’Emergenza educativa” denunciata dal grande Papa emerito, Benedetto XVI. Ieri con Don Bosco e oggi, la ricerca del senso della vita preme e si fa strada, drammaticamente, nel cuore dei giovani. Don Bosco non ha mai preso sottogamba questo lacerante problema ed ha dato l’unica e sola risposta: Gesù Cristo. Le periferie di Torino pullulavano di orfani e giovani sbandati e derelitti che alimentavano povertà e sfruttamento minorile.

Don Bosco arriva da una periferia di Torino, dai Becchi, e prende il via la “santa avventura”, la storia di un prete che ha cambiato l’esistenza di migliaia e migliaia di giovani. L’educazione è fondamentale nella vita di un uomo, da piccolo, Giovannino rimase orfanello a soli due anni e ha imparato da una santa donna, Mamma Margherita, a riconoscere le tracce del Signore, e dalla sua periferia dove è nato e cresciuto, bisogna provare per credere, il “satollo non crede al digiuno” è arrivato, provvidenzialmente, alla periferia di tanti giovani, ripeto, orfani, sbandati e derelitti. Ieri, si respirava una forte secolarizzazione, nulla di nuovo sotto il sole, come oggi, e don Bosco, contrastato e perseguitato da un feroce anticlericalismo, ha opposto un’eroica resistenza e ha opposto, nel campo educativo, un sistema, un metodo educativo, chiamato “preventivo”, basato su ragione, religione e amore.

In un’intervista che rivela il suo profilo, la sua impronta, egli dichiara: “Il punto sta nello scoprire quali soni i germi delle buone qualità dei giovani e poi svilupparli”. Con queste parole traduce il senso dell’Educazione che significa, dal latino, “educere”, uscir fuori, per cui l’Educazione è “l’Arte della levatrice”, l’Arte della Maieutica. “Ognuno – dice ancora, il grande apostolo della gioventù – sa fare con piacere solo quello che sa di poter fare. Io mi regolo con questo principio, i miei giovani lavorano tutti non solo con attività, ma con amore. In 46 anni, non ho mai inflitto un solo castigo e oso affermare che i miei alunni mi vogliono tanto bene. Il mio sistema, l’avete capito, è educare con ragione, religione e amore”. Di questa sua capacità educativa non rende affatto merito a se stesso, ma al Signore e alla Vergine Ausiliatrice.

Nelle sue Memorie, difatti, scrive che “l’Educazione è cosa di cuore”, e Dio solo ne è padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l’Arte e ce ne dà in mano, le chiavi. Tra tanti giovani vi sono i carcerati che lui visita, sono 300 giovani arrestati per furto e vagabondaggio, e fa loro Catechismo e con passione e amore si lega a ognuno, come un padre è famoso, a proposito l’episodio della gita a Stupinigi. Chiede al direttore del carcere di poter premiare i ragazzi con un’uscita dal carcere, nonostante il diniego, lui insiste e si rivolge al ministro Rattazzi che acconsente e promette di far disporre un numero di guardie sufficienti. “No, obietta don Bosco, si farà tutto senza gendarmi e se anche uno solo dei ragazzi fuggirà, pagherò con il carcere”. Tutto, difatti, è andato bene e quando incontra il ministro Rattazzi che gli chiede come mai “a noi queste cose non riescono e a lui sì”, don Bosco subito, risponde: “Perché lo Stato comanda e punisce. Io voglio bene ai miei ragazzi!”. Il segreto è, quindi, l’Amore.


 


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