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 mercoledì 15 marzo 2017

FIRENZE

Il teatro-canzone di Neri Marcorè: per tornare a pensare

di Tiziana Santoro


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Successo di pubblico al Teatro della “Pergola” di Firenze per l’attore Neri Marcorè. L’artista marchigiano ha portato in scena il suo ultimo lavoro “Quello che non ho”. Ancora una volta, scegliendo la formula del teatro-canzone, Neri Marcorè e il regista Giorgio Gallione hanno armonizzato, sapientemente, musica, canto e parole. Il pretesto autobiografico da cui parte l’input narrativo è scandito dall’anno 1995, quando Neri, che si trovava a Napoli per assistere al concerto di De Andrè, ha iniziato a leggere con interesse l’inserto dedicato agli “Scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini, editi sul “Corriere della Sera”. Gli intellettuali non-allineati della sua giovinezza, offrono a Neri il pretesto per analizzare il passato e osservare il presente con occhi critici. In un tempo in cui gli uomini producono “orrori e miserie”, l’artista cerca “un tempo nuovo” e sottopone all’attenzione degli spettatori quei fatti di cronaca nazionale e internazionale, di fronte ai quali si propone d’innescare un processo di autocritica-sociale che coinvolga, attivamente, le coscienze.

L’uomo di oggi – ammonisce l’attore – deve osservare la lumaca, la quale per costruire il suo guscio aggiunge spirali dalla più piccola alla più grande, ma poi si ferma e procede dalla più grande alla più piccola. Se non ci fosse questa inversione di tendenza – sottolinea Marcoré – il suo guscio avrebbe un peso 16 volte maggiore e la lumaca rischierebbe di morire schiacciata. Allo stesso modo, l’uomo dovrebbe avere un approccio etico verso i consumi e le relazioni con gli altri. Marcorè guarda ai fatti del presente ed usa la satira, dissacrante e dai toni grotteschi, quando profetizza l’avvento di un sesto continente fatto di plastica e quando denuncia le guerre civili causate dall’acquisizione del coltan (indispensabile per produrre telefonini e playstation). Non mancano le sferzate ai politici del nostro tempo, impegnati in Parlamento a chiarire che fine abbia fatto Clarabella, gadget di una nota marca di acqua minerale, indispensabile per il completamento della collezione. I problemi di oggi non sono solo legati al consumismo e causati da un vuoto politico, pesano sulla convivenza pacifica diffidenze e barriere morali verso lo straniero e chi, solo perché diverso, viene visto come una minaccia, sempre che – ammonisce Neri – non acquisisca un ruolo nello show business.

A stemperare i toni, oltre all’ironia e alla presenza scenica dell’attore marchigiano, interviene l’interpretazione canora dello stesso e dei chitarristi-cantori: Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini, che hanno attinto al “registro poetico” delle “anime salve” che popolano il repertorio di De Andrè per ricordare al pubblico che si può uscire dal coro e fare la differenza. Neri Marcorè, alla fine dello spettacolo, congeda il suo pubblico con una speranza, la stessa auspicata da Pasolini che sognava il ritorno delle lucciole, sopraffatte dall’inquinamento. Il ritorno delle lucciole è il nuovo rinascimento che Neri Marcorè desidera per l’Italia; è la speranza che De Andrè riponeva nella “ricerca di una goccia di splendore”. Un augurio, quello dell’attore, ma anche il richiamo ad un’assunzione di responsabilità da parte del pubblico.

Il teatro-canzone di Marcorè e Gallione si è rivelato una formula vincente attraverso cui innescare un processo di autocritica-sociale, stemperando e quasi sublimando le problematiche del nostro tempo attraverso il repertorio di un cantautorato che è poesia in musica. E chissà, che con l’apporto di tutti, il confine scenico invalicabile pensato da Guido Fiorato e l’artificialità delle luci a neon verdi e viola di Aldo Mantovani, non si tingano di colori forti e non cedano il passo ad una cornice naturalistica luminosa, in cui contenere quel tronco d’albero solitario che, per tutta la durata dello spettacolo, si è imposto al centro del palco, quasi a voler ricordare al pubblico la sua solitaria e fragile condizione.


 


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