domenica 26 febbraio 2017
SERRA SAN BRUNO
Quando la storia di un luogo va a finire nelle mani sbagliate
di Redazione
Erano
i primi del ‘900 quando un certo ing. Fiorentino Borello, inventore, dopo un
lungo periodo di permanenza negli Stati Uniti d’America, fece ritorno nella
propria terra nativa, Serra San Bruno. Fiorentino, un signore dalla corporatura
alta, aveva alle spalle una lunga esperienza lavorativa; grazie alle sue
invenzioni e ad alcuni brevetti nel settore meccanico, elettrico,
fluidodinamico e a una collaborazione intrapresa con società che operavano
sotto il controllo del Governo degli Stati Uniti d’America, luogo, allora come
ora, dove le menti brillanti vengono aiutate. Fiorentino Borello, dopo varie
vicissitudini lavorative, avendo accumulato una piccola fortuna, decise di
tornare in Calabria, dove poter continuare il suo lavoro di creatore di
macchine, acquistando in località Scendamo, nella Cittadina di Serra San Bruno,
una costruzione, precedentemente, adibita a mulino ad acqua. L’opificio, dopo
diverse modifiche ed ampliamenti, divenne una moderna segheria dotata di
strumenti innovativi.
Diverse
strumentazioni site in questo stabile furono realizzate, direttamente, da
Fiorentino, tra le quali un generatore di corrente elettrica a turbina, pompe,
strumenti per il taglio e la lavorazione del legno e dei metalli, non che un
punto di fusione per cuscinetti in bronzo, realizzazione di bulloneria e tanto
altro. Nasce qua la prima sega orizzontale per tronchi della zona. Qua
affluivano diverse professionalità del circondario delle serre fino ad arrivare
dalla Sila, tra cui falegnami, segantini, boscaioli, proprietari di opifici con
lo scopo di riparare e ottimizzare i propri impianti e strumenti di lavoro.
La
segheria, tra le varie macchine e attrezzature, ospitava una enorme sega o “serra”
per il taglio di tronchi fino a 6 metri di lunghezza e ad oltre un metro di
diametro macchina che, per quei tempi e la sua concezione tecnica strutturale,
era più unica che rara. Realizzata, interamente, dall’inventore Fiorentino
Borello questa attrezzatura composta da materiale ferroso e ligneo aveva una
lunghezza di 15 metri per un’altezza di oltre 4 metri e mezzo, era il
rielaborato di un modello usato negli Stati Uniti d’America tra 800 ed il 900.
Il nuovo modello di strumento aveva delle accortezze tecniche tali da essere
molto più versatile e pratico delle altre macchine per taglio dei tronchi,
munita di sistemi di cambio velocità, regolazione e taratura per i diversi
legni in base alla durezza degli stessi ed un sistema di avanzamento del taglio,
completamente automatico, con alimentazione sia idraulica che elettrica: era
chiamata “La Serra di Fiorentino”.
Giunta
per una serie di casi fortuiti fino ai giorni nostri, dopo aver superato due
alluvioni ed essere stata utilizzata in periodo bellico per realizzare assi in
legno, verso la fine degli anni ‘80, causa una malaugurata situazione che si
venne a creare, l’intera strumentazione venne pretesa da un certo sig. Antonio
Poletto che con fare di minaccia e prepotenza, si presentò ai discendenti dell’inventore
Fiorentino Borello sradicando da quel luogo quanto più possibile si poteva
trasportare con ausilio di grossi camion, presso la sua azienda La Foresta di
Serra San Bruno, allo scopo di farne un proprio museo. Ma così non fu! Per
oltre 30 anni tutto il materiale di Fiorentino restò ammassato in un capannone
presso la sua azienda in località Santa Maria, lontana dagli occhi di tutti, ma,
soprattutto, dei proprietari originali ai quali più volte gli venne negato
anche di vedere il luogo dove era stata depositata.
Fino
a quando, negli ultimi anni, tutta questa attrezzatura fatta da Fiorentino da prima
venne montata alla meno peggio fuori nel piazzale dell’azienda “La Foresta”, a
marcire sotto le intemperie acqua ghiaccio e sole. Ricordo che parliamo di delicati
macchinari composti in legno e ferro con più di un secolo di vita alle spalle.
Poi, verso la fine del 2016, dopo due anni di esposizione alle intemperie di
ogni genere, il Poletto decise di donarla all’università di Reggio Calabria per
farne oggetto di studio, lontana, quindi, dal suo luogo d’origine dove venne
creata e lavorò per quasi un secolo.
Va
detta una cosa molto importante. I proprietari originali più volte, negli anni
passati, tentarono di riavere tale bene dietro un adeguato pagamento, vedendo
lo stato come era tenuta, con l’unico scopo, una volta rimontata nella sua
integrità e in modo corretto nel suo luogo d’origine, di renderla nuovamente
visitabile a quante persone serresi e non, potevano essere interessate alla
storia delle segherie di Serra San Bruno, a come si lavorava e a come si viveva
nei tempi passati; ma così non fu, dopo tante avversità e pesanti scontri
verbali da parte del Poletto verso tale nobile e giusto intento, lo stesso
decise, negli ultimi anni, che era meglio sottrarre queste macchine agli occhi
dei serresi; questa è stata una grande mancanza di rispetto verso la gente del
luogo e la sua storia che così scompare per mano di un estraneo.
Ora,
consideriamo i tempi moderni in cui domina l’esagerato progresso tecnologico
che ritroviamo alla portata di tutti tale da facilitare i calcoli, gli impegni,
i pensieri; “progresso” anche fatto di frivolezze e illusioni, basti pensare ad
un ragazzo di 15 di anni degli anni ‘80 e un ragazzo di 15 anni degli anni
2017, se messi al confronto, il primo avrà un bagaglio culturale fatto di
esperienze di vita pratica manuale e studio fatto sui libri, mentre il secondo
salvo rare eccezioni avrà solo un esperienza fatta sul monitor di un computer
magari costituita anche da nozioni fasulle.
Questo
paragone ci serve a capire che oggi tutto è più facile e “pigro”, mentre una
volta le cose andavano conquistate con il sudore della fronte e il lavoro delle
braccia e la forza della sola mente, lasciando un solco indelebile nella vita
di ciascuno di noi. Il punto della situazione è che per giungere a questa
nostra era fatta di cose alla portata di tutti, siamo per forza dovuti passare
da quello che hanno fatto i nostri avi gradino dopo gradino, con grande
dedizione e applicazione della scienza e della tecnica, a partire dalle nozioni
più elementari di composizione della materia.
Tornando
alla nostra cittadina di Serra San Bruno, da sempre considerata centro di
lavoro e di cultura, possiamo affermare che essa conserva vari documenti sul
progresso strutturale e artistico degli anni della sua fondazione, ma rarissime
sono quelle che testimoniano il progresso manifatturiero e industriale che
fungeva da motore portante dall’epoca della rivoluzione industriale fino agli
anni 1950. Allora, quanti opifici, mulini, segherie, sistemi di produzione dei
filati, lavorazioni di ferro, pietra, ebanisteria, esistevano! Tante di queste
strutture erano dotate di attrezzature meccaniche idrauliche tali da fare
invidia alla moderna ingegneria; bene, tutte le testimonianze industriali di
questi laboratori sono, letteralmente, scomparse lasciando qualche rara
traccia.
È
da sottolineare come l’impegno dei cittadini dei Comuni del circondario serrese,
che si sono già attivati da alcuni anni per valorizzare e gridare al mondo le
loro origini storiche, ristrutturando siti come la Fabbrica d’armi di Mongiana,
così da attirare l’attenzione di un pubblico di turisti sempre più crescente,
invitando persone nel luogo dove quei mestieri e quelle tradizioni ebbero vita
e origini e sviluppi storici, e non in un luogo diverso da dove quegli opifici
erano stati concepiti distruggendo la loro storia.
Si
vuole, di seguito, giungere alla seconda considerazione. Nonostante, gruppi di
persone, associazioni, singoli, giovani serresi volenterosi di studiare per
capire chi siamo e chi eravamo, effettuino, ciascuno nel proprio ambito,
ricerche storiche che, spesso, sfociano in convegni, dimostrandone risultati,
bene, pure questi sono stati privati per mano di un estraneo capitalista
settentrionale quale il Poletto dell’unica possibilità di valorizzare la
cultura di Serra San Bruno dal punto di vista tecnico-creativo, impedendo di
farla avvicinare a quei centri che hanno saputo valorizzare antichi mestieri
attirando bus pieni di turisti che accorrono d’ogni parte per visitare laddove
si forgiavano importanti manufatti in ferro; vedi Soriano con il recupero delle
antiche rovine del convento di San Domenico, con il valorizzare di antichi mestieri,
mentre a Serra San Bruno, Paese di tante ricchezze, opifici e manifatturieri,
cosa ci rimane oltre le chiese e la Certosa? Un bel niente!!!
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