PRIMA DI LEPANTO
La Sicilia, centro del Mediterraneo
di Enzo Farinella
Della
Città di Messina abbiamo parlato spesso, in questi ultimi tempi. Il messinese
Shakespeare e il sognatore Cervantes, per esempio, potrebbero effondere molta
più luce sulla cittadina peloritana di quanto non ne riverberi, abitualmente. Ci
fu un altro “hidalgo”, prima di Don Miguel de Cervantes, che puntò i suoi occhi
anche sulla Città dello Stretto. Si chiamava Ignacio de Loyola, il fondatore
della Compagnia di Gesù. Questo basco sognava di fare della Sicilia il centro
del Mediterraneo. Nel 1548, egli fondò il Collegio di Piazza Cairoli, il “Primum
ac Prototypum”, che doveva servire da modello per altri che ne sorsero ovunque
e dove venne sperimentata la famosa “Ratio Studiorum”, che rese famosi i
Gesuiti. Da Roma, dove viveva, Ignazio aveva previsto una “cortina culturale”
per salvare l’Europa dall’invasione turca prima, allora minacciosa, e dopo da
quella protestante, che dall’Europa centro-nord tentava di espandersi ovunque.
Quest’ultima
non era una guerra, anzi, già in quei tempi Ignazio di Loyala scriveva e
pregava per i fratelli separati divisi dalla Riforma. Messina era nella sua
mente parte di un piano intellettuale strategico per il lavoro della
Controriforma e per arginare anche l’avanzata dei turchi. Il Collegio dei
Gesuiti di Piazza Cairoli nasce proprio con l’intento di creare una classe
intellettuale capace di confrontarsi con i riformatori e, se necessario, come
succedeva per tutta una serie di simili istituzioni, dislocate, strategicamente,
in Italia, Spagna, Portogallo e in città di confine come Bratislava, Vienna,
Ingolstadt in Baviera, Lovanio in Belgio e altre, quali baluardi di fede
cristiana.
Si
sa che il lavoro di formazione è lento, a volte, richiede il passaggio di
generazioni. Ma contro i turchi bisognava agire, diversamente. Ecco allora,
redigere un piano strategico per affrontarli e debellarli, definitivamente. Il
piano porta la data del 6 agosto 1552. È indirizzato al P. Girolamo Nadal, rettore
del Collegio di Messina, un uomo carismatico e lungimirante, impegnato in quei
giorni del 1552 in un’azione navale a fianco del vicerè di Sicilia, Juan de
Vega. P. Nadal doveva essere il latore del piano presso l’imperatore Carlo V,
tramite un qualche personaggio influente. Prevedeva “l’allestimento di una
grande flotta” per porre fine al dominio dei turchi sul Mediterraneo e alle
loro pericolose scorrerie non solo in Sicilia, ma anche in Europa. Diciamo
subito che, storicamente, non consta che tale documento sia giunto nelle mani
dell’imperatore. Sappiamo, però, che 20 anni dopo i turchi venivano sconfitti,
definitivamente, a Lepanto. Due lettere vengono indirizzate al P. Nadal, in
quello stesso giorno del 6 agosto 1522, la prima è redatta in termini generali,
la seconda si sofferma sul modo di attuare tale vasto piano navale.
Tra
le ragioni addotte “che fanno sentire la necessità di una tale flotta” vengono
enumerate: La gloria e l’onore di Dio; Persone e bambini di ogni età soffrono
con “grande responsabilità di chi deve provvedere e non lo fa”; Si elimina un
grande rischio che tutta la cristianità corre con queste scorrerie; Si eviterebbero
i danni materiali che i turchi e i corsari provocano, continuamente, alle coste
della Spagna, dell’Italia e di altre parti; L’onore di s.m. e la sua
reputazione richiedono una tale azione. Sul come attuarla, si legge:
“Prescrivere che molti istituiti religiosi... armino un buon numero di galere”.
P.e., l’Ordine di San Girolamo, tante; quello di San Benedetto, tante; quello
dei certosini, tante”, ecc.; I vescovadi e i loro Capitoli e beneficiati
potrebbero contribuire con una grossa somma di denaro per armare molte galere.
Quattro
Ordini di Cavalleria, come quello di San Giovanni, dovrebbero aiutare con i
loro beni e le loro persone; Alcuni potenti del Regno dovrebbero fare
altrettanto. “Quanto si spende per fasto in cacce, festini e cortei... potrebbe
essere speso per la gloria di Dio”; I commercianti si potrebbero mettere
insieme e contribuire ad armare galere; Lo stesso potrebbero fare città e
luoghi imperiali, specialmente, quelli esposti al mare, che soffrono danni
dalle invasioni turche; Il Re del Portogallo, le signorie di Genova, Lucca e
Siena, il Duca di Firenze, Cosimo dei Medici, lo stesso Papa, “se Dio glielo
ispirasse”, dovrebbero anche aiutare. “Oltre
quello che l’Imperatore può mettere a disposizione dalle sue rendite e che è
tanto, da queste fonti sembra si possa ricavare il necessario per mantenere una
grande armata... Un gran bene potrebbe derivare a quel che rimane della
cristianità”.
Al rettore del Collegio di Messina viene chiesto un consiglio
ponderato nella massima discrezione. “Ci rifletta e comunichi presto il suo
parere”. “Certamente, i moventi dell’azione di Ignazio non erano solo quelli di
debellare il nemico. Più forti e più pressanti erano quelli di ordine
spirituale”. “Una flotta imperiale che domini sul mare, potrà evitare questi e
tanti altri inconvenienti”, scrive il segretario di Ignazio, Juan Polanco, al
P. Nadal. Qui, comunque, ci interessa sottolineare in particolare l’attenzione
che il fondatore dei Gesuiti pone sulla Città di Messina e il grande sogno da
lui concepito di vedere la Sicilia come il centro propulsore di tutto il
Mediterraneo, sogno che ancora attende di essere realizzato dai siciliani e dai
messinesi.
PS.
Il testo integrale delle due lettere si trova in “Monumenta Historica
Societatis Jesu, Monumenta Ignatiana, Epistula III, 353-354 ed Epp. IV, 354 –
359 oppure in Ignazio di Loyola – Il Messaggio del suo epistolario, Roma, 1975,
Vol. II, 11 – 17.
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