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 sabato 17 dicembre 2016

PRIMA DI LEPANTO

La Sicilia, centro del Mediterraneo

di Enzo Farinella


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Della Città di Messina abbiamo parlato spesso, in questi ultimi tempi. Il messinese Shakespeare e il sognatore Cervantes, per esempio, potrebbero effondere molta più luce sulla cittadina peloritana di quanto non ne riverberi, abitualmente. Ci fu un altro “hidalgo”, prima di Don Miguel de Cervantes, che puntò i suoi occhi anche sulla Città dello Stretto. Si chiamava Ignacio de Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù. Questo basco sognava di fare della Sicilia il centro del Mediterraneo. Nel 1548, egli fondò il Collegio di Piazza Cairoli, il “Primum ac Prototypum”, che doveva servire da modello per altri che ne sorsero ovunque e dove venne sperimentata la famosa “Ratio Studiorum”, che rese famosi i Gesuiti. Da Roma, dove viveva, Ignazio aveva previsto una “cortina culturale” per salvare l’Europa dall’invasione turca prima, allora minacciosa, e dopo da quella protestante, che dall’Europa centro-nord tentava di espandersi ovunque.

Quest’ultima non era una guerra, anzi, già in quei tempi Ignazio di Loyala scriveva e pregava per i fratelli separati divisi dalla Riforma. Messina era nella sua mente parte di un piano intellettuale strategico per il lavoro della Controriforma e per arginare anche l’avanzata dei turchi. Il Collegio dei Gesuiti di Piazza Cairoli nasce proprio con l’intento di creare una classe intellettuale capace di confrontarsi con i riformatori e, se necessario, come succedeva per tutta una serie di simili istituzioni, dislocate, strategicamente, in Italia, Spagna, Portogallo e in città di confine come Bratislava, Vienna, Ingolstadt in Baviera, Lovanio in Belgio e altre, quali baluardi di fede cristiana.

Si sa che il lavoro di formazione è lento, a volte, richiede il passaggio di generazioni. Ma contro i turchi bisognava agire, diversamente. Ecco allora, redigere un piano strategico per affrontarli e debellarli, definitivamente. Il piano porta la data del 6 agosto 1552. È indirizzato al P. Girolamo Nadal, rettore del Collegio di Messina, un uomo carismatico e lungimirante, impegnato in quei giorni del 1552 in un’azione navale a fianco del vicerè di Sicilia, Juan de Vega. P. Nadal doveva essere il latore del piano presso l’imperatore Carlo V, tramite un qualche personaggio influente. Prevedeva “l’allestimento di una grande flotta” per porre fine al dominio dei turchi sul Mediterraneo e alle loro pericolose scorrerie non solo in Sicilia, ma anche in Europa. Diciamo subito che, storicamente, non consta che tale documento sia giunto nelle mani dell’imperatore. Sappiamo, però, che 20 anni dopo i turchi venivano sconfitti, definitivamente, a Lepanto. Due lettere vengono indirizzate al P. Nadal, in quello stesso giorno del 6 agosto 1522, la prima è redatta in termini generali, la seconda si sofferma sul modo di attuare tale vasto piano navale.

Tra le ragioni addotte “che fanno sentire la necessità di una tale flotta” vengono enumerate: La gloria e l’onore di Dio; Persone e bambini di ogni età soffrono con “grande responsabilità di chi deve provvedere e non lo fa”; Si elimina un grande rischio che tutta la cristianità corre con queste scorrerie; Si eviterebbero i danni materiali che i turchi e i corsari provocano, continuamente, alle coste della Spagna, dell’Italia e di altre parti; L’onore di s.m. e la sua reputazione richiedono una tale azione. Sul come attuarla, si legge: “Prescrivere che molti istituiti religiosi... armino un buon numero di galere”. P.e., l’Ordine di San Girolamo, tante; quello di San Benedetto, tante; quello dei certosini, tante”, ecc.; I vescovadi e i loro Capitoli e beneficiati potrebbero contribuire con una grossa somma di denaro per armare molte galere.

Quattro Ordini di Cavalleria, come quello di San Giovanni, dovrebbero aiutare con i loro beni e le loro persone; Alcuni potenti del Regno dovrebbero fare altrettanto. “Quanto si spende per fasto in cacce, festini e cortei... potrebbe essere speso per la gloria di Dio”; I commercianti si potrebbero mettere insieme e contribuire ad armare galere; Lo stesso potrebbero fare città e luoghi imperiali, specialmente, quelli esposti al mare, che soffrono danni dalle invasioni turche; Il Re del Portogallo, le signorie di Genova, Lucca e Siena, il Duca di Firenze, Cosimo dei Medici, lo stesso Papa, “se Dio glielo ispirasse”, dovrebbero anche aiutare. “Oltre quello che l’Imperatore può mettere a disposizione dalle sue rendite e che è tanto, da queste fonti sembra si possa ricavare il necessario per mantenere una grande armata... Un gran bene potrebbe derivare a quel che rimane della cristianità”.

Al rettore del Collegio di Messina viene chiesto un consiglio ponderato nella massima discrezione. “Ci rifletta e comunichi presto il suo parere”. “Certamente, i moventi dell’azione di Ignazio non erano solo quelli di debellare il nemico. Più forti e più pressanti erano quelli di ordine spirituale”. “Una flotta imperiale che domini sul mare, potrà evitare questi e tanti altri inconvenienti”, scrive il segretario di Ignazio, Juan Polanco, al P. Nadal. Qui, comunque, ci interessa sottolineare in particolare l’attenzione che il fondatore dei Gesuiti pone sulla Città di Messina e il grande sogno da lui concepito di vedere la Sicilia come il centro propulsore di tutto il Mediterraneo, sogno che ancora attende di essere realizzato dai siciliani e dai messinesi.

PS. Il testo integrale delle due lettere si trova in “Monumenta Historica Societatis Jesu, Monumenta Ignatiana, Epistula III, 353-354 ed Epp. IV, 354 – 359 oppure in Ignazio di Loyola – Il Messaggio del suo epistolario, Roma, 1975, Vol. II, 11 – 17.


 


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