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 lunedì 14 novembre 2016

FIRENZE

Pirandello attraverso Gabriele Lavia: dal testo alla scena

di Tiziana Santoro


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Il Teatro della Pergola di Firenze restituisce al pubblico in sala, come avvolti nel caldo abbraccio della sua struttura semicircolare, Gabriele Lavia, Michele Demaria e Barbara Alesse interpreti de “L’uomo dal fiore in bocca”. La commedia scritta da Luigi Pirandello in un unico atto, della durata di appena 15 minuti, è stata rielaborata e diretta da Gabriele Lavia che, per circa un’ora e mezza, si è, generosamente, concesso agli spettatori. Il regista rimastica il repertorio pirandelliano, arricchendo la commedia con spunti tratti da altre novelle dell’autore. La genialità di Lavia sta tutta nel riproporre Pirandello alla sua maniera, apportando modifiche che non stravolgono l’autenticità della rappresentazione originaria, ma che approfondiscono la poetica di Pirandello con una particolare attenzione al “sentimento del contrario” e alla tematica della morte: cardini dell’ispirazione dell’autore siciliano. Lavia, regista e attore protagonista, rende omaggio al “sorriso amaro” di Pirandello ed esalta la tradizione siciliana di nicchia attraverso citazioni dotte.

Tra queste, è la sostituzione del suono del mandolino, previsto nel testo teatrale, con il Canto “A la bedda di li beddi”, ascritto al repertorio di Nino Martoglio. Tra le “licenze poetiche” di Lavia vi è anche una variazione scenica, per cui il sipario si apre sulla sala d’attesa di una stazione, in una piovosa giornata d’estate. Il testo di Pirandello, invece, presenta ai lettori “L’uomo dal fiore in bocca” e il pacifico avventore seduti al tavolino di un bar, mentre cercano ristoro dall’arsura, in una calda giornata. A questa immagine, il regista ha preferito quella della pioggia per evocare “il cattivo tempo dell’anima umana”, quella condizione di fragilità che vede l’uomo sopraffatto dalle intemperie della vita. Attraverso la messa in scena, che mette a fuoco l’orologio rotto della sala d’aspetto della stazione, Lavia vuole trasmettere al pubblico l’immagine di una Sicilia senza tempo, in cui i due protagonisti vivono secondo la propria percezione temporale: lineare per l’avventore e circolare per “L’uomo dal fiore in bocca”. Il primo è oppresso dal desiderio di controllare il tempo, dai fastidi e dalle preoccupazioni della quotidianità; invece, il secondo dilata il tempo attraverso l’immaginazione, guarda e ruba dalle vite degli altri ogni minuto, per sottrarsi alla minaccia della morte che incombe su di lui.

Egli agisce nell’unico modo possibile, per attenuare il desiderio di vivere. Il protagonista anela solo a succhiare la vita degli altri, senza mai partecipare, ma per avvertirne il fastidio e la vacuità. “L’uomo dal fiore in bocca” si colloca in una dimensione senza tempo, guarda dall’esterno, immagina, indugia sul dettaglio per superare “l’angoscia nella gola” causata da quel “gusto della vita che non si soddisfa mai”, poiché, mentre la viviamo, la vita è sempre ingorda di se stessa. Il sapore della vita è tutto nei ricordi che lo limitano al passato, è un sapore amaro che illude e preoccupa. Il malato, pertanto, rifiuta la vita che la morte gli nega e con lei rifiuta la moglie. La donna che da lontano veglia su di lui e attira a sé tutto il suo disprezzo, perché con la sua presenza lo ancora al ruolo, alla famiglia, alla casa. Il tumore, che l’uomo sa di avere al labbro superiore, diventa una lente d’ingrandimento che gli fa vedere i dettagli insignificanti e lo allontana da quelle che, sino ad allora, erano state le sue preoccupazioni. L’avventore pacifico è, al contrario, un uomo ossessionato dal tempo, soffocato dalle pressanti richieste della moglie e delle figlie, in preda ai ritmi frenetici e ai doveri.

Nella poetica di Pirandello, quest’ultimo è già “forma” che cristallizza “l’Io”. Ed è qui che interviene Lavia per creare un suo varco e approfondire la tematica dell’incomunicabilità tra uomo e donna, tra moglie e marito in un gioco incalzante di parallelismi, che pongono gli accenti ora sulle differenze, ora sulle somiglianze. Lavia guarda al repertorio di Pirandello per dar luogo ad una tematica attualissima e centrale nella moderna società entro cui, convulsamente, uomini e donne si incontrano, si amano, si scontrano e si lasciano, sempre più spesso sopraffatti da un “ruolo-forma” che soffoca il loro modo di essere. Certamente, Lavia riflette sulla Novella “Sgombero”, in cui Pirandello aveva già intuito che uomini e donne “sono uguali” fatti cioè della “stessa carne” e degli stessi appetiti. Analogamente, nel Romanzo “Suo marito”, i due protagonisti, Giustino Boggiolo e Silvia Roncella, raccontano il loro rapporto, ciascuno riportando la propria personale verità, incrementando la via del relativismo psicologico di cui si nutre l’incomunicabilità tra i sessi.

Un altro espediente scenico che Lavia scova nel repertorio di Pirandello è il fischio del treno, che più volte interviene spezzando il dialogo. Belluca, il protagonista della Novella “Il treno ha fischiato”, lasciava che il rumore del treno infrangesse gli schemi della società e della famiglia che lo opprimevano, per evadere dal mondo reale e trovare riparo nel sogno e nell’immaginario. Nella scena conclusiva, mentre il fischio del treno irrompe, “L’uomo dal fiore in bocca” rivolge un’ultima richiesta al suo interlocutore. Gli chiede di camminare a piedi, alle prime luci dell’alba e di scorgere il cespuglio più folto per contarne le foglie. È il regalo di un condannato a morte ad un uomo sopraffatto dalle preoccupazioni fatue della vita, un invito a dilatare il tempo, a guardarsi intorno a scorgere il miracolo celato nelle piccole cose. Rimarrà a lui l’illusione dolce di vivere, tanto quanto l’avventore pacifico porterà a termine il compito assegnato. “L’uomo dal fiore in bocca” rimarrà solo, al centro della scena, appeso alla linfa vitale di un estraneo avventore.


 


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