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 mercoledì 12 ottobre 2016

RECENSIONE

“Vaneddi” di Serena Lauro

di Vito Mauro


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Lasciando, momentaneamente, la scrittura poetica, dopo aver pubblicato la raccolta di Poesie in siciliano “Cantu la libbertà ca m’apperteni”, Edizioni ISSPE, e la successiva silloge di Liriche in italiano “Note di parole”, Edizioni Thule, entrambe molto gradite anche fra coloro che, solitamente, non leggono poesia, Serena Lao si dedica alla prosa e lo fa con “Vaneddi”. Memorie ed emozioni della mia “Ballarò”, Edizioni Arianna, racconto lungo che non sovverte l’andamento ritmico dei suoi canti, esaltandoli con nuovo stile. Tommaso Romano, nella prefazione al libro sintetizza un reale ed efficace profilo dell’artista: “Sensibile e poeticamente vocata al richiamo delle radici, Serena Lao canta, scrive interpreta e vive d’arte da sempre per scelta esistenziale e morale”. In questo racconto, vediamo riaffiorare la cantastorie che ha segnato un periodo della sua vita dove, ancora, si manifesta Serena Lao con il legame indissolubile con il suo quartiere, Ballarò.

In “Vaneddi” si racconta ciò che è stato e ciò che non c’è più; un segmento di Palermo, un rione mercatale, con un piccolo perimetro capace, però, di mostrarsi, umanamente, universale. Un quartiere come una rutilante galleria con tanti personaggi straordinari, veri, anonimi con i problemi di ogni giorno, che passano davanti agli occhi dell’autrice in un giorno di agosto, in un momento in cui il caldo estivo, le strade deserte, il festino alle spalle e, forse, l’inquietudine dei nostri giorni l’accompagnano nell’angoscia ed in cui Serena Lao ha trovato, esemplarmente, se stessa recuperando tanti ricordi. Con appassionata tenerezza e sincerità ella esplora con perspicacia le peculiarità del suo quartiere e i dettagli quotidiani dei suoi personaggi, misteriosi o importanti, chiari e ironici, per ricavarne estese considerazioni, riuscendo a cogliere ricchezze dove pensi di non trovarle tramandando la cognizione di un rione con divertenti dialoghi. Senza voler storicizzare, la Lao, indossando i panni dell’osservatore comune, traccia fedelissimi ritratti prima che tutto si globalizzi e si perda.

Racconta e fa rivivere, in maniera semplice, i luoghi che contano quanto le tante persone appartenenti al quartiere: Sulinu “piacevole diversivo… dei ragazzini del rione”, a signora Rosina che “stava tutto il giorno a fari curtigghiu”, Tinuzza del “mondo dell’occulto… esperta”, u zu Carru che “non si lasciava convincere” dal gioco della riffa, ed anche ricordando le feste religiose, le ricorrenze, le usanze popolari, le cerimonie, i giochi e gli svaghi, con una brillante e accattivante scrittura. E leggendo i vari capitoli disegnati di tante piccole vicende, con crescente curiosità, pagina dopo pagina viene fuori il radicamento della scrittrice, la resistente custode della memoria storica e del folklore del suo quartiere… della sua Ballarò, ricordandoci il percorso che ci ha condotto fin qui. Con i suoi bizzarri episodi sentiamo il cuore di Serena Lao che mette in scena una sorta di teatro, dove si percepisce il valore del ricordo e il lettore senza rendersene conto si vede proiettato in quei luoghi. E, così, tornano pure in mente i momenti simili a quelli della propria gioventù. E come un nastro che si riavvolge, alla presenza di lacerti di luce, vengono custodite memorie d’epoca di un quartiere con delineati ritratti di personaggi che hanno lasciato tracce di sé nella memoria di chi li conosceva.

Aneddoti di chi ci ha vissuto che se non raccontati andrebbero dimenticati, vicende che mentre si leggono riportano nei vicoli, “nne vaneddi”, e sembra di sentire gli odori, i suoni, le voci, che ti viene istintivo ripetere a voce alta. Episodi che hanno lasciato un’impronta nell’autrice, tanto da farla tornare sui luoghi per riviverli e restituirli nel suo libro, uomini e donne originali, particolari questi che rappresentano la vitalità più inespressa di un quartiere in cui Serena Lao è nata e per un periodo ha vissuto. In maniera vivace e naturale, senza enfasi, la Lao riesce a farci rievocare ciò che la memoria ha riposto in cassetti che non perlustriamo più e lo fa, spesso, con parole originali in siciliano che evidenziano l’oralità e l’asciutta musicalità dell’autrice che dà, così, un fermento alla lettura, creando meraviglia e ricordo insieme a un prezioso glossario posto alla fine del testo, che non solo traduce le parole, ma di alcune ne svela il senso e la bellezza.

L’autrice, ripescando immagini e mettendo in fila i ricordi della sua fanciullezza, aggiunge un altro tassello alla sua arte, sapendo che ciò che del passato viene ricordato ci dà l’occasione di rievocare circostanze che colleghiamo a nuove emozioni, provando il piacere di riapprezzarle dopo diversi anni, anche se questo poteva essere un passato fatto di sacrifici, sicuramente senza le attuali comodità dove ci si accontentava di poco. Non esistevano il computer o il telefonino tuttofare, si giocava per le strade con poco, ma erano pur felici momenti giovanili e il ricordo del tempo passato ci commuove sempre. Come pure ci sorprendiamo tutte le volte che ci accostiamo a un nuovo lavoro di Serena Lao.


 


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