MESSINA
Dibattito letterario sul poeta Nino Ferraù
di Alfonso Saya
Nel marzo del 2016,
nel Salone degli specchi del Palazzo della Provincia, si è tenuto un dibattito
letterario su un “grande figlio” di Messina di cui mi onoro di essere stato
inseparabile amico, sino alla vigilia della sua repentina dipartita. Ho in
mano, un articolo interessante, inedito, riguardante la sua Figura e che ho
ricevuto, in quell’anno lontano della sua morte, il 1985, dal direttore dell’Istituto
italiano di cultura, il dr. Pietro Insana. Mi piace riferire alcuni tratti di
questo interessante articolo, in balza il profilo vero, del poeta Nino Ferraù.
La sua conoscenza, afferma l’Autore, è stata occasionale, durante il periodo in
cui ha lavorato al Provveditorato agli Studi. Il ricordo che serbo di lui, dice
testualmente l’Autore, rimane in me nitido e vivo. Aveva i capelli ben
pettinati, lisci e tirati sulle tempie, con la sola eccezione di quel
ciuffettino frontale, che conferiva al serio e degno insegnante che era, l’aspetto
dello studente che era stato e che forse, rimaneva nel cuore. Gli occhiali
dalla montatura nera, con larghe ed appiattite aste sulle tempie, servivano, probabilmente,
anche a conferire un aspetto severo a quel volto roseo e buono, su cui uno
spontaneo sorriso accompagnava la parlata sommessa e scandita, tipica della
gente di Galati Mamertino.
Tuttora, continua ancora, Pietro Insana, quando
penso a Ferraù, lo associo ad un uomo di lettere dimenticato ma che evoca gli
anni del “Maurolico”: lo scrittore pavese, Nino Salvaneschi, infatti, la prima
composizione di Ferraù, riecheggiava il suddetto scrittore francescano, famoso
per le tre opere: “Saper amare – Saper
soffrire – Saper credere”. Poi, la Musa, col suo carro trionfale, attrasse
a sè il giovane insegnante e ne fece un Poeta di larga notorietà. Nel contesto
dell’articolo, l’Autore, apre una gustosa parentesi: racconta l’episodio, nel
suo Istituto, con il poeta Salvatore Quasimodo. Il discorso venne a cadere sul
prof. Pugliatti. Il Premio Nobel, appena ha sentito questo nome, posando in
simmetrico contatto i polpastrelli delle dita, ma divaricando le palme, oscillò
verticalmente le due mani in un tipico gesto interrogativo, dicendo: “Ma io, per chi sono a questo punto?”. Alludeva,
con onestà intellettuale, al battesimo letterario che gli era stato impartito
da Pugliatti. Anni dopo, quest’episodio lo raccontò al Pugliatti che, commosso
e scuotendo il capo disse: “Troppo buono
Salvatore...il merito è tutto suo e di sua madre e di suo padre che gli hanno
insegnato la buona educazione!”.
Chiusa questa simpatica parentesi, l’Autore
continua il discorso su Ferraù. Mi piace riferire testualmente: “Quando ho letto, sulla Gazzetta del Sud, il
breve, succoso, intelligente articolo di Alfonso Saya, corrispondente da
Rometta, ho capito che quello che dà sangue e sostanza della produzione
letteraria dei nostri Poeti è la radicata umanità della loro ispirazione,
espressa ed inquadrata, in dimensione squisitamente educativa. Salvatore
Pugliatti non parlava a caso; quella parola ‘educazione’ ha il senso della
gratitudine e della riconoscenza” mi ha dato sempre da riflettere. Nino
Ferraù era un Educatore non soltanto perchè maestro, ma per la sua capacità di
racchiudere nel messaggio poetico contenuti di altissimo valore umano.
Dovremmo, conclude, Pietro Insana, raccogliere l’invito rivolto al figlio e
leggere, con più penetrante attenzione, i libri del Poeta, anzi “del cuore del
Poeta” che non scrisse solo per scrivere, ma anche nel desiderio e nel bisogno
di sopravvivere. Nei versi del Poeta troveremo spunti di riflessione,
insegnamenti, lezioni di vita, motivi di speranza. Si risente Papa Francesco, “Non lasciatevi rubare la speranza!”
Così, come il figlio, non ci sentiremo orfani di Nino, poeta francescano del
nostro tempo. La poesia rivolta al figlio: Presto
saprai che il cuore d'un
poeta, non
scrive sol per scrivere ma
scrive e scriverà per
sopravvivere. Finchè
son vivo, mi
vedrai in casa, come
la nave al porto, Quando
sarò morto, non
sentirti sperduto
e sena meta: apri
miei libri e
lì mi troverai... Presto
saprai che
il figlio d'un poeta non
è orfano mai.
|