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 lunedì 28 gennaio 2019

MESSINA

Dibattito letterario sul poeta Nino Ferraù

di Alfonso Saya


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Nel marzo del 2016, nel Salone degli specchi del Palazzo della Provincia, si è tenuto un dibattito letterario su un “grande figlio” di Messina di cui mi onoro di essere stato inseparabile amico, sino alla vigilia della sua repentina dipartita. Ho in mano, un articolo interessante, inedito, riguardante la sua Figura e che ho ricevuto, in quell’anno lontano della sua morte, il 1985, dal direttore dell’Istituto italiano di cultura, il dr. Pietro Insana. Mi piace riferire alcuni tratti di questo interessante articolo, in balza il profilo vero, del poeta Nino Ferraù. La sua conoscenza, afferma l’Autore, è stata occasionale, durante il periodo in cui ha lavorato al Provveditorato agli Studi. Il ricordo che serbo di lui, dice testualmente l’Autore, rimane in me nitido e vivo. Aveva i capelli ben pettinati, lisci e tirati sulle tempie, con la sola eccezione di quel ciuffettino frontale, che conferiva al serio e degno insegnante che era, l’aspetto dello studente che era stato e che forse, rimaneva nel cuore. Gli occhiali dalla montatura nera, con larghe ed appiattite aste sulle tempie, servivano, probabilmente, anche a conferire un aspetto severo a quel volto roseo e buono, su cui uno spontaneo sorriso accompagnava la parlata sommessa e scandita, tipica della gente di Galati Mamertino.

Tuttora, continua ancora, Pietro Insana, quando penso a Ferraù, lo associo ad un uomo di lettere dimenticato ma che evoca gli anni del “Maurolico”: lo scrittore pavese, Nino Salvaneschi, infatti, la prima composizione di Ferraù, riecheggiava il suddetto scrittore francescano, famoso per le tre opere: “Saper amare – Saper soffrire – Saper credere”. Poi, la Musa, col suo carro trionfale, attrasse a sè il giovane insegnante e ne fece un Poeta di larga notorietà. Nel contesto dell’articolo, l’Autore, apre una gustosa parentesi: racconta l’episodio, nel suo Istituto, con il poeta Salvatore Quasimodo. Il discorso venne a cadere sul prof. Pugliatti. Il Premio Nobel, appena ha sentito questo nome, posando in simmetrico contatto i polpastrelli delle dita, ma divaricando le palme, oscillò verticalmente le due mani in un tipico gesto interrogativo, dicendo: “Ma io, per chi sono a questo punto?”. Alludeva, con onestà intellettuale, al battesimo letterario che gli era stato impartito da Pugliatti. Anni dopo, quest’episodio lo raccontò al Pugliatti che, commosso e scuotendo il capo disse: “Troppo buono Salvatore...il merito è tutto suo e di sua madre e di suo padre che gli hanno insegnato la buona educazione!”.

Chiusa questa simpatica parentesi, l’Autore continua il discorso su Ferraù. Mi piace riferire testualmente: “Quando ho letto, sulla Gazzetta del Sud, il breve, succoso, intelligente articolo di Alfonso Saya, corrispondente da Rometta, ho capito che quello che dà sangue e sostanza della produzione letteraria dei nostri Poeti è la radicata umanità della loro ispirazione, espressa ed inquadrata, in dimensione squisitamente educativa. Salvatore Pugliatti non parlava a caso; quella parola ‘educazione’ ha il senso della gratitudine e della riconoscenza” mi ha dato sempre da riflettere. Nino Ferraù era un Educatore non soltanto perchè maestro, ma per la sua capacità di racchiudere nel messaggio poetico contenuti di altissimo valore umano. Dovremmo, conclude, Pietro Insana, raccogliere l’invito rivolto al figlio e leggere, con più penetrante attenzione, i libri del Poeta, anzi “del cuore del Poeta” che non scrisse solo per scrivere, ma anche nel desiderio e nel bisogno di sopravvivere. Nei versi del Poeta troveremo spunti di riflessione, insegnamenti, lezioni di vita, motivi di speranza. Si risente Papa Francesco, “Non lasciatevi rubare la speranza!” Così, come il figlio, non ci sentiremo orfani di Nino, poeta francescano del nostro tempo.

La poesia rivolta al figlio:

Presto saprai che il cuore

d'un poeta,

non scrive sol per scrivere

ma scrive e scriverà

per sopravvivere.

Finchè son vivo,

mi vedrai in casa,

come la nave al porto,

Quando sarò morto,

non sentirti

sperduto e sena meta:

apri miei libri

e lì mi troverai...

Presto saprai

che il figlio d'un poeta

non è orfano mai.




 


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