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 sabato 10 febbraio 2018

STORIA

In ricordo degli italiani morti nelle Foibe

di Redazione


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Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono stati gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani. La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire da una foiba. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti.

La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce. Nel febbraio del 1947, l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda Guerra mondiale: l’Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignora: non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si è realizzato il sogno del socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è, del resto, la ragione per cui il PCI non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non è solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse. Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondisce la tragedia delle foibe.

I neofascisti, d’altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della Seconda Guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l’occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco. Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita ancora aperta perché, ricorda ancora Sabbatucci, è stata ignorata per molto tempo. Il 10 febbraio del 2005 il Parlamento italiano ha dedicato la giornata del ricordo ai morti nelle foibe. Ha inizio, dunque, I l’elaborazione di una delle pagine più angoscianti della nostra storia. (tratto da: “La storia siamo noi”)


 


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