TERREMOTO 1908
“Messina non c’è più”, si gridava in quelle tragiche ore
di Alfonso Saya
Da numerose testimonianze
risulta che, due giorni prima del
terremoto che colpì la città di Messina, un “misterioso” vecchietto, andasse per
le vie della Città suonando un campanello, e fermandosi ad ogni porta, diceva
ai cittadini con accorata voce: “Pregate,
pregate! Fate penitenza/ perchè il Signore ha perduto la pazienza!/È vicino il
castigo di Dio, è vicino il flagello”/ e suonava, suonava il
campanello.../tutti ridevano, ridevano/non gli credevano/ lo prendevano per
matto.../pensavano che gli era saltato il cervello/ ma lui suonava, suonava il
campanello/ e diceva: “Non mi credete ma
ve ne pentirete!/ il castigo è vicino, è vicino il flagello/...”. Gli fu
chiesto di dove fosse e lui rispose, con accento strano: “Non sono di questa terra, il mio paese è molto lontano.../pregate,
pregate perchè è vicino il flagello...”.Questo episodio, che io ho tradotto
in dei miei versi, è raccontato dall’indimenticabile padre Caudo che ne è stato
testimone. Il misterioso vecchietto, si fermò davanti alla tipografia La Scintilla il battagliero Settimanale
da Lui fondato ed ancora alle stampe, è tutt’ora il periodico della nostra
Diocesi. L’episodio fu pubblicato sulla Scintilla
del gennaio 1952. È confermato dall’avv. Trombetta, persona allora ben nota ed
assai stimata, è stata, difatti, intitolata una piazza al suo nome. Anche
l’avvocato fu impressionato di quel misterioso vecchietto. Lui gli chiese chi
fosse e lui rispose al solito: “Non sono
di questa terra, il mio paese è molto lontano! Io pregherò per voi e voi
pregate pure e il Signore vi salverà”. L’avv. Trombetta difatti, uscì salvo
dalle macerie. L’avv Trombetta sospettava che non fosse un uomo comune, ma una
sorta di “inviato” del Cielo. Il poeta russo Blok, il secondo nella letteratura
russa per importanza dopo Pushkin, così ricorda in alcuni suoi versi il
terremoto del 28 dicembre: “Le fiamme
fumanti del terremoto/ profezia dei nostri tempi /tremenda apparizione lassù/
della minacciosa coda della cometa/la fine spietata di Messina”. Perkins e
Wilson nel loro libro mai tradotto dall’inglese, sul ruolo della Royal Navy a Messina “Angels in blue Jackets” edito da Picton,
1985 così scrivono: “Quando le navi
britanniche arrivarono a Messina in quel dicembre del 1908, i loro equipaggi
non ebbero certo il tempo di ammirare lo scenario o di ponderare quello che
sarebbe stato il ruolo storico da essi giocato nella tragedia”. Furono gli
uomini della Washington i primi
testimoni della immensa tragedia, i primi a lanciare il messaggio al mondo: “Messina is no more” (Messina non c’è
più). Il libro scritto dai due giornalisti inglesi, si sofferma, non a torto,
sui terribili episodi di sciacallaggio perpetrati da bande di briganti calate
sulla Città dopo il cataclisma, racconta di dita mozzate per sottrarre anelli
ai corpi esanimi tra le macerie, di criminali travestiti da carabinieri, dei
tentativi non andati a buon fine di aprire i caveau delle banche distrutte,
dell’incuranza di alcuni del Governo romano che non credettero alle reali condizioni
della Città dello Stretto. Ci fu un solo marinaio britannico morto nel prestare
i soccorsi ai Messinesi, un arabo di Aden, di nome Ali Hassan. Tuttavia,
nonostante la ben nota rivalità, neanche gli inglesi poterono fare a meno di
restare ammirati di coloro che più di tutti contribuirono a prestare soccorso
in quelle prime ore, i marinai russi, che un testimone così descrive: “I marinai russi non aspettarono gli ordini,
ma si lanciarono tra le rovine e lavorarono come antichi Troiani. Essi ruppero
l’incantesimo di apatia che ci aveva fino ad allora legato”. I siciliani
piccoli e scuri, videro in quei ragazzi alti e biondi degli angeli. Merita una
menzione un certo Vladimir Polukin, uomo di forza fisica fuori dal comune anche
per i giganti russi, che sollevava massi enormi senza apparente sforzo.
Quest’uomo lo ritroveremo più tardi nel corso della storia a capo dell’Armata
Rossa, fucilato dagli inglesi durante la Rivoluzione comunista. I russi
meravigliarono tutti, per la loro completa indifferenza al rischio. I russi furono
i primi a restaurare l’ordine e tenere a bada gli sciacalli. Continuando nella
lettura di questo straordinario documento, si legge dei marinai della Royal Navy, che portavano in giro tra le
braccia i bambini messi in salvo, se vedessero qualcuno dei parenti od amici;
questi piccoli orfanelli venivano poi sistemati in piccole baracche da campo,
dando loro arance e dolci. La flotta britannica accorse anche a Catona ( Reggio
Calabria ), dove fu scoperto un singolo medico originario del Villaggio
messinese di Salice, che curò più di cento persone, perchè i tre medici del
posto erano rimasti uccisi: uomo davvero rimarchevole lo definisce il testo;
morì dopo pochi giorni avendo aiutato a costruire l’ospedale, per non essersi
dato alcun riposo. Ecco una
descrizione di Messina, contenuta in una lettera di un marinaio inglese: “È il caos più completo, disperazione,
devastazione irrimediabile. Ogni secondo una casa cade giù, un grande fuoco
circonda Messina. I marinai corrono dappertutto con medicine e cibo, le barelle
traboccano di invalidi. Un uomo è venuto oggi dal capitano, il suo villaggio è
stato completamente raso al suolo, e lui è fuggito a gambe levate disperato”. Si
racconta della visita del Duca di Connaught, terzo genito della Regina
Vittoria, e delle piaghe di Messsina: tifo, pellagra, colera. Degli aiuti
americani e dell’incredibile generosità del presidente Rooswelt e poi
dell’Imperatore d’Austria-Ungheria e del Papa. Si racconta anche che un
considerevole numero di rifugiati sbarcato da navi di ogni nazionalità a
Napoli, dove la camorra ne approfittò per indurre alla prostituzione molte
giovani messinesi e reggine. Quando entrò in porto Re Vittorio Emanuele con la
Regina Elena, tutte le navi spararono a salve le tradizionali cannonate,
facendo sollevare sulla Città distrutta una nuvola bianca, di cui non c’era
certo bisogno. Tra le altre persone, uno dei sopravvissuti, si avvicinò al Re per
recargli il saluto dei messinesi rimasti, e cominciò un discorso fiorito colmo
della retorica del tempo, dicendo quale profondo onore fosse il ricevere la
visita del sovrano, ma Vittorio Emanuele, pare che impaziente, tagliò corto
dicendo: “Basta, non dica tante
sciocchezze!”. Il Governo italiano, riportano i giornalisti inglesi, aveva
deciso di abbandonare Messina e di non ricostruire più la Città sullo stesso
posto. Decisione poi evidentemente disattesa, pare per l’ostinazione
dell’arcivescovo D’Arrigo. Solo a pochi fu dato di entrare fra le rovine di
Messina, tra questi, regolari visite vi fece il pittore Sir Frank Brangwyn, che
ritrasse una serie di romantiche acqueforti delle rovine. Tra le molte
personalità che intervennero sui luoghi del disastro, ricordiamo l’ammiraglio
della flotta britannica del Mediterraneo Sir Assheton Gore Curzon-Howe, il Duca
di Bronte Alexander Nelson Hood, il capitano Carter, la famosa MRS Mkinnon nata
McDonald, ma soprattutto la Regina Elena, che come riferisce il colonnello
Redcliffe, presso l’Ambasciata britannica a Roma, “Mi informò del disastro in quattro o cinque minuti, dicendomi molto
più che fosse stato capace chiunque altro, dandomi il quadro perfetto di ciò
che occorresse fare”. “Messina is no
more”. Messina non c’è più, occorre riflettere su questo grido disperato,
che anche oggi molti messinesi levano dai loro cuori.
|