LEGGE
A cosa serve l’usucapione?
di Olga Cancellieri
Dell’istituto dell’usucapione si è sentito parlare dalla notte
dei tempi e, in effetti, è un istituto risalente all’epoca del diritto romano e
serviva per diventare proprietari a pieno titolo di un bene abbandonato da
altri da tempo. Da allora ad oggi, anche tale istituto ha subito un’evoluzione per
cui non è facile capire quando viene in essere e quanto sia ampia la sua
portata. L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della
proprietà mediante il possesso continuativo del bene immobile o mobile per un
periodo di tempo determinato dalla legge; realizzandosi ope legis è l’effetto
principe del possesso. Si realizza, infatti, per il solo fatto del possesso
continuato per venti anni, senza bisogno dell’intervento del giudice né dell’accordo
tra le parti. Il legislatore ha voluto, quindi, premiare chi per anni si occupa
di un bene, ad esempio un terreno, coltivandolo e innaffiandolo, ritenendosi
proprietario, punendo, invece, l’inerzia e il disinteresse del proprietario
originario.
L’art. 1158 del cod. civ. disciplina, in via generale, l’istituto
prevedendo che la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di
godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per
venti anni. Tale regola si applica a tutti i beni immobili, mobili registrati
purché non si tratti di beni incommerciabili, quali sono, ad esempio, le chiese
e i beni sacri, le strade, le spiagge che sono beni demaniali dello Stato,
quindi, indisponibili. Tuttavia, per acquisire la proprietà di un bene per usucapione
sono necessari, inderogabilmente, i seguenti requisiti: a) deve trattarsi di un possesso continuo, ininterrotto, pacifico e
pubblico; non occorre l’elemento soggettivo della buona fede, perché il
possessore può anche essere in mala fede; deve, comunque, trattarsi di possesso
e non di mera detenzione; b) deve
trattarsi di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di
altro diritto reale; non sono suscettibili di usucapione i diritti personali;
c) occorre che il possesso si
protragga, ininterrottamente, per venti anni e che sia accompagnato dall’intenzione
di esercitare un potere sulla cosa.
Il decorso del tempo ha inizio con l’acquisto del possesso, che
permette di individuare con certezza l’acquisto dell’animus (l’intenzione
di essere proprietario del bene anche senza alcun titolo di acquisto) e del corpus
(la materiale apprensione della cosa). L’usucapione non è rilevabile d’ufficio
e può essere rinunciata solo dopo il suo compimento, quando si può validamente
disporre del diritto. Uno dei problemi che però sorge con l’usucapione è
che non è possibile documentare, tranne che in via giudiziaria, attraverso un
giudizio che accerti l’intervenuto acquisto della proprietà. Ma nei confronti
del rivendicante, il possessore che ha maturato l’usucapione può seguire due
strade: o si limita a paralizzare l’azione di rivendica con l’eccezione di usucapione,
ritenendosi pago del rigetto della domanda, ovvero può, con domanda in via
riconvenzionale, non solo bloccare il rivendicante, ma chiedere un autonomo
accertamento dell’intervenuta usucapione con efficacia non semplicemente
tra le parti, ma erga omnes.
La prova, poiché verte su una situazione di fatto, può essere fornita
senza limiti e, quindi, anche con testimoni. L’art. 1159 c.c. disciplina, poi,
la c.d. “usucapione breve” e cioè l’usucapione decennale prescrivendo che colui
che acquista in buona fede da chi non è proprietario un immobile, in forza di
un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia stato debitamente
trascritto, ne compie l’usucapione in suo favore col decorso di dieci anni
dalla data della trascrizione. La stessa disposizione si applica nel caso di
acquisto degli altri diritti reali di godimento sopra un immobile.
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