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 lunedì 1 settembre 2014

VITTIME DELLA STRADA

Il reato stradale in Italia… giuste le pene?

di Olga Cancellieri


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Da molti anni, si parla di proposte di legge che mirino all’inasprimento delle pene per chi si mette alla guida di un veicolo in stato di alterazione alcolica o di sostanze stupefacenti. Tale tematica diventa, particolarmente, attuale in questo periodo dell’anno, quando gli incidenti stradali si moltiplicano e, di conseguenza, aumentano sensibilmente i decessi, molti dei quali causati da chi si mette alla guida consapevole di non essere nelle momentanee condizioni per farlo.

Il reato stradale, oggi in Italia, rientra nella fattispecie colposa ed è punito con la reclusione dai due ai sette anni, pene aumentate da tre a dieci anni, nel caso in cui le vittime siano più persone o l’incidente mortale sia stato causato da persona ubriaca o drogata. Oggi, le pene appaiono quindi, formalmente, eque; tuttavia, quasi mai vengono comminate nella loro totale severità.

Per fare un unico esempio basti pensare che, in caso di omicidio o ferimento, conseguente ad un incidente stradale provocato da condotte di guida pericolose, non è prevista la possibilità di procedere con l’arresto obbligatorio in flagranza, ma è solo possibile il fermo in caso di omicidio colposo plurimo e di omicidio colposo, in concorso con lesioni personali colpose.

In buona sostanza, oggi in Italia, se completamente ubriaco ti metti sconsideratamente alla guida e superi tutti i limiti di velocità, o non rispetti codice della strada, segnaletica orizzontale e verticale ed ogni norma di normale diligenza o prudenza, in carcere, comunque, non ci vai, né prima del giudizio, né dopo, soprattutto se sei giovane e incensurato e hai un discreto avvocato. Appare superfluo sottolineare che l’Italia è l’unico Paese europeo che punisce così lievemente coloro che commettono tale tipo di reato.

Nessuno ha la pretesa di sostituirsi al legislatore, ma non si può continuare ad essere inerti e complici o, comunque, spettatori di un ignobile spettacolo di morte che, in questo periodo dell’anno, si verifica quasi ogni giorno. Non si può però negare che la normativa, attualmente, vigente nel nostro Paese per prevenire e punire tali accadimenti è, assolutamente, insufficente e si fa sempre più urgente e necessario un serio intervento normative in merito.

Fatte queste preliminari osservazioni, è importante individuare alcune linee-guida che dovrebbero sovrintendere ad un intervento normativo repressivo (abbinato, ovviamente, ad un’azione preventiva educativa di ampia incisività, ma inutile se è l’unica strada perseguita) che possa fungere da deterrente a chi intenda porsi al volante in stato di alterazione psico-fisica dovuta ad assunzione di stupefacenti od ingestione di alcool, e si proponga, quindi, quale fonte tutt’altro che potenziale, ma concreta di incidenti stradali con vittime.

Appare corretto formulare alcune ipotesi per rendere più seria e concreta la responsabilità di chi crea vittime della strada, per chi si pone, sconsideratamente, alla guida in stato di alterazione alcolica. Occorre, innanzitutto, porre l’attenzione non solo sul momento della commissione del fatto, che è indubbiamente colposo, ma al momento antecedente, quando chi si mette alla guida è consapevole di non essere nelle condizioni per farlo.

Nessuno auspica che tale tipo di omicidio sia paragonato al dolo di primo tipo, cioè all’omicidio commesso, intenzionalmente, contro una persona determinata (magari con premeditazione), e neanche avrebbe senso il paragone con il dolo di chi, ad esempio, mette una bomba in una piazza in pieno giorno accettando il rischio e, quindi, l’altissima probabilità di uccidere dei passanti.

Tuttavia, nel caso dell’omicidio causato da chi guida in stato di ebbrezza alcolica, o da stupefacenti, si tratterebbe comunque di dolo, ma di un tipo più “lieve” riscontrabile in chi non aveva intenzione di uccidere nessuno, ma si è, volontariamente, messo in strada in uno stato tale da avere sensibilmente alterati i riflessi, la capacità di reazione, la lucidità, la limpidezza della vista, la coscienza di capire che si sta svolgendo, in quel momento, un’attività altamente pericolosa, come la guida di veicoli. Ciò premesso, bisogna precisare che sono numerosi i disegni di legge succedutosi fino ad ora, volti ad inasprire le pene per questo tipo di trasgressioni.

L’ultimo, in ordine cronologico, in particolare prevede la condanna dell’omicida da 8 a 18 anni (notevole aumento di minimi e massimi edittali), l’arresto in flagranza di reato ed il c.d. “ergastolo della patente”. Tuttavia, fino ad ora nessuna proposta di riforma è giunta ancora a concretizzarsi, ma ciò che bisogna augurarsi è che il legislatore provveda non solo il prima possibile, ma nel modo più opportuno, evitando d’incappare in incongruenze, potenzialmente, idonee a creare discrasie nel nostro ordinamento giuridico.

Una prima proposta, suggerisce di arrivare a considerare sempre doloso l’omicidio stradale, ma, a questo punto, sembrerebbe incongruente prevedere un consistente aumento di pena solo per il caso di reato di omicidio stradale e non prevedere un proporzionato ed adeguato, se non addirittura uguale, aumento di pena anche per coloro che causano la morte di persone violando, negligentemente, le norme di prevenzione in materia di infortuni sul lavoro.

Del resto, procedendo come suggeriscono alcune proposte di legge, si realizza una nuova fattispecie di omicidio doloso, quid iuris. Così operando, però, sembra quasi voler considerare doloso l’omicidio stradale, ma connotato da una sorta di “dolosità attenuata”. Forse, il vero problema è che varie sono le norme del nostro codice penale che andrebbero riformate per garantire almeno un’adeguata risposta sanzionatoria in modo da soddisfare il bisogno di giustizia che i familiari delle vittime della strada e i cittadini tutti avvertono. Tutte le vittime hanno il diritto di ottenere giustizia e tutela nel modo, giuridicamente, più adeguato e, soprattutto, senza creare di fatto ingiustificate disparità di trattamento.



 


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