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 venerdì 7 febbraio 2014

MATRICALIS

Gianni Argurio – La tradizione in primo piano

di Melo Freni


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È ritornato Gianni Argurio, noto cantastorie peloritano che, da oltre mezzo secolo, mantiene viva la fiamma della più bella tradizione delle culture, non solamente locali, che esprimono, nel dialetto della nostra bella terra, la radice più autentica della propria storia, della propria civiltà.

Considerando la ricchezza dei tanti lessici che messi insieme hanno formato, e formano, una particolare mappatura di un Paese federato sul mosaico dei propri dialetti, Tullio De Mauro ha parlato di una e cento Italie.

Proprio da una di queste si leva ancora il canto del Nostro, canto inteso non solo come canzone (o canzuna), ma musicalità della lingua nella sua normale funzione del porgersi.

In questo, Argurio ha le spalle ben coperte e va a suo merito se, ascoltandolo, leggendolo, ridesta una memoria che tanti travagli e liberalità del tempo presente hanno piuttosto relegato da una parte.

Mi riferisco alla memoria di un Pitrè, di un Salomone Marino, di un D’Avolio, Alessio Di Giovanni, Serafino Amabile Guastella e di quanti altri che con i loro studi, con le loro ricerche e con le loro opere, hanno fissato, e fissano, in maniera indelebile lo spessore di una letteratura che, erroneamente e con superficialità, la si vuole classificare come subalterna (ne sa di più Salvatore Di Marco, attuale riferimento assoluto, come promotore e come catalogatore della letteratura in lingua siciliana).

E, per quanto riguarda la città di Messina, va da sé ricordare i contributi specifici che, da Tommaso Cannizzaro a Vann’Antò, occupano i posti della filologia e della creatività.

Vi scrivo queste parole per allontanare da Gianni Argurio ogni eventuale dubbio di affettazione e di provvisorietà. La sua passione ed il suo impegno s’inseriscono nelle pagine più serie di una vocazione che dal folklore non disdegna di scivolare sul piano di una forma diversa, che è quella di sottoporre al confronto del dialetto anche opere somme della letteratura.

Gianni Argurio si è cimentato con I Promessi Sposi, ha riproposto in 46 ottave siciliane l’Orlando Furioso, ha attinto al repertorio favolistico. In una parola “è andato oltre”, ed è per questo che bisogna stare attenti alla sua classificazione, che non è, semplicemente, quella di uno che canta, o che cunta. All’interno dei suoi canti e dei suoi cunti c’è materia che non va trascurata anche perché il Nostro è anche un poeta.

Al di là delle elaborazioni è autore dei testi di molte sue canzoni e se queste, perfettamente, si affinano alle altre attinte dalla tradizione, vuol dire che Argurio crede nella fedeltà alla storia, alla tradizione, al repertorio. E salva, non aggiorna, ma salva: perché il posto che ha scelto non cade nel nullismo delle variazioni che uccidono. Né si lascia trascinare dalla tentazione della denuncia, del tema politico, argomenti che hanno fatto grandi, da ieri ad oggi, altri poeti, come Antonio Veneziano o Ignazio Buttitta.

Il nostro cantastorie resta un contemplativo, crede ancora nella bellezza della sua terra e la canta, riprende l’eco del carrettiere, ripercorre strade sulagne, risveglia amori che dormono, si eleva in preghiera di fronte al miracolo dell’Etna e la chitarra la suona ancora all’antica.

Bisogna essere grati a Gianni Argurio per questa recente, ma non ultima, raccolta che ci dona e questo cd non poteva avere titolo più efficace di Matricalis.


 


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