RECENSIONE
“Il figlio naufrago del… telefono, mendicante a Tindari” di Mimmo Mòllica
di Ornella Fanzone
La
triste vicenda di Carlo Meucci – figlio di Antonio Meucci, inventore del telefono
– vissuto, lungamente, a Tindari (provincia di Messina), ricostruita e
raccontata da Mimmo Mòllica, nel Volume
“Meucci il figlio del… telefono
mendicante a Tindari”, propone la questione dell’identità dei migranti e
dei naufraghi, ai quali spetta l’arduo compito di ricostruire la propria
identità personale e burocratica. Il libro
di Mòllica muove i suoi passi da un gesto di umana pietà e si prefigge di
strappare all’oblio dell’invisibilità un essere umano, peraltro, discendente da
una eccellenza italiana – Antonio Meucci, inventore del telefono – di cui
andare fieri. Il diritto alla propria identità è un diritto fondamentale dell’individuo,
ma ci vorrà ancora del tempo prima che venga riconosciuto come inviolabile.
Consegnare alla società una persona “diversa” sarà considerato illecito dalla
giurisprudenza soltanto dalla metà degli anni ‘70. Se il diritto all’identità è
al primo posto tra i diritti inviolabili dell’individuo, nel caso di Carlo
Meucci la sua distorsione, l’alterazione o la mancata verità, costituiscono non
solo un reato contro la persona, ma contro la comunità scientifica
internazionale e contro la società medesima, considerata l’identità del padre,
Antonio Meucci.
La
triste vicenda di Carlo Meucci vissuto, lungamente, a Tindari, in provincia di
Messina, nato a New York, il 3 o il 4 novembre 1872, viene ricostruita e
raccontata da Mimmo Mòllica nel Volume
“Meucci il figlio del… telefono
mendicante a Tindari” (Armenio Editore), da pochi giorni in libreria. Già,
l’insicurezza sul suo reale giorno di nascita dà l’idea delle difficoltà
incontrate per potere affermare con certezza che Carlo Meucci è figlio del
grande inventore. Per quanto la sua data di nascita ‘oscilli’ tra il 3 e il 4
novembre 1872, su tutti i documenti rilasciati a Mòllica dai Comuni siciliani,
dove Carlo Meucci abitò e fu registrato anagraficamente, risulta essere figlio
di Antonino Meucci ed Ester Mochi, vale a dire dell’inventore del telefono e
della costumista del Teatro “La Pergola” di Firenze, che Antonio Meucci sposò
il 7 agosto 1834.
Carlo
Meucci fu migrante, naufrago (come il padre emigrato a New York) e ‘figlio
scomodo’, in un momento della storia dell’umanità, come oggi, fortemente
segnato dalle migrazioni, in cui “quella dell’identità non è una questione di secondaria
importanza”, al di là del diritto all’identità stessa. Ma ci sono di mezzo
tante peripezie, le difficoltà dei tempi, l’emigrazione, il naufragio, mentre
Carlo Meucci tornava in Italia dall’America, dove era andato a cercare il
padre, scoprendo che era già morto, così come la madre. Carlo Meucci stabilì la
sua residenza in Sicilia, tra Mazara del Vallo, Marsala, Barcellona Pozzo di
Gotto, Sant’Agata Militello e Tindari. E sarà in questi Comuni che l’identità
del ‘migrante naufrago’ Carlo Meucci verrà trascritta e certificata.
La burocrazia
non è spesso esemplare
Chi
leggerà questo volume avrà modo di
rendersi conto delle difficoltà incontrate nel tentativo di ricostruire la vita
di Carlo Meucci, di attribuirgli un’identità certa e risalire ad una verità che
potrebbe dirsi ‘scomoda’, così come ‘figlio scomodo’ è stato definito Carlo
Meucci in un titolo giornalistico. Rischiava d’essere rapito dalla Mano Nera,
per questo il padre volle affidarlo ad una donna calabrese, perché lo portasse
in Italia. Carlo Meucci se ne tornò in Italia e, soccorso da una nave italiana,
sbarcò a Napoli. Aveva perso tutto, perfino l’identità. Per rifarsi un’identità
anagrafica, infatti, Carlo dovette darsi da fare. Un bel giorno, Carlo capitò a
Tindari, dove era già stato nelle sue peregrinazioni di ambulante, si mise a
sedere sulla scala del Santuario della Madonna Nera, tra gente semplice e
accogliente, gente che non aveva, forse, mai sentito parlare di Antonio Meucci
e dell’invenzione rubata, quella del telefono.
A Tindari, Carlo Meucci sentì d’essere
arrivato: costruì alla meglio una baracca di legno e lamiere e sopra, con
pennello e vernice scrisse “Al piccolo bazar di Carlo”. E, allora, mi chiedo
se, al di sopra dei fatti formali che regolano la materia, non sarebbe
auspicabile un ricorso a quanto di nuovo c’è oggi nel panorama scientifico
delle innovative tecniche di ricerca e di indagine, nei laboratori forensi,
grazie all’evoluzione delle metodiche e delle strumentazioni in grado di
penetrare nel mondo dell’infinitamente piccolo (vedasi la genetica forense). E
il Libro di Mimmo Mòllica, “Meucci il figlio del… telefono, mendicante
a Tindari”, è, indubbiamente, un importante contributo verso questa
doverosa ‘opzione’.
Mimmo Mòllica,
note biografiche
Mimmo Mollica,
pseudonimo di Domenico Molica Colella, è nato a Gioiosa Marea (Messina). È
giornalista pubblicista, autore radiofonico, televisivo e di canzoni. Ha
collaborato con la RAI e con testate giornalistiche nazionali. In qualità di
musicista ha pubblicato con la Polygram S.p.A. il Lp “Vinni cu vinni”.
Per Radio2 Rai
ha scritto e condotto diverse serie radiofoniche.
Studioso ed
esperto di musica d’autore, tradizioni popolari, ha fatto parte del cast fisso
del Derby Club di Milano, il mitico cabaret in cui sono nati artisticamente I
Gufi, Cocky e Renato, Enzo Jannacci, Teo Teocoli.
Ideatore di
varie manifestazioni, tra le quali la “Torre d’Oro”, Premio nazionale alla
comicità, condotta da Pippo Baudo e negli anni assegnata ai migliori comici
italiani.
Assieme al poeta
Ignazio Buttitta ha scritto e rappresentato vari lavori, in Italia e
all’estero. Ha collaborato con le cantanti folk Amalia Rodrigues, Maria Carta e
Rosa Balistreri.
Per Armenio e
Amazon ha dato alle stampe diversi volumi tra i quali “I Racconti di Nonno Ros”
(Premio La Capannina 2014), “Le più belle canzoni siciliane”, “Cose erotiche e
proibite di Sicilia e d’Italia”.
|