MESSINA
La Casa “Collereale”, una benefica istituzione
di Alfonso Saya
 Nel 1828, apriva
i battenti nella nostra Città, la Casa di Ospitalità “Collereale” e nel 1978,
ricorrendo i 150, il Consiglio di Amministrazione, per la penna del suo
presidente, l’indimenticabile mons. Giuseppe Foti, ha voluto ricordare l’anniversario
e rendere omaggio al suo Fondatore, Giovanni Capece Minutoli di Collereale, da
cui prende il nome la Casa, che Giuseppe La Farina così ha definito: “Bello nella persona, piacevole ed arguto nel
conversare, pronto a soccorrere gli infelici e a riprendere i malvagi, odiatore
delle ingiustizie, di probità senza macchia, assoluto nei modi, e animoso sino
all’audacia’’ e gli altri insigni benefattori, in prima linea, nei tempi
più vicini a noi, il grande arviscovo mons. Angelo Paino che ebbe parte
decisiva, addossandosi tutti gli oneri, per la sua ricostruzione dopo il
terremoto del 1908, e far conoscere ai Messinesi una preziosa Componente della
loro Storia. Mons. Foti fa un parallellismo fra due Istituzioni che sorgono
nello stesso anno, il 1827, il “Cottolengo” chiamato così dal suo Fondatore,
Giuseppe Benedetto Cottolengo che aveva dato un altro nome alla sua
Istituzione, l’aveva chiamata, “Piccola Casa della Divina Provvidenza”, così è
stato per la Istituzione di Messina che ha preso il nome dello stesso Fondatore,
“Collereale”.
Mons. Foti fa, pure il parallellismo tra i due Fondatori che
hanno avuto la medesima ispirazione cristiana. Tutte le grandi opere, del
resto, come gli Ospedali, sono scaturiti dal Cristianesimo. Il Cottolengo, un
prete torinese, prese la decisione di consacrare la sua vita all’accoglimento e
all’assistenza degli ammalati e degli invalidi, inginocchiato davanti al
Santissimo Sacramento dell’Altare e il suo nome sarebbe stato il nome della più
grande Istituzione umanitaria in cui tutte le miserie umane avrebbero trovato
ospitalità ed aiuto. Così è stato per la grande Istituzione umanitaria messinese,
che ricalca i motivi e gli intendimenti di quella torinese, il “Collereale” che
nacque nello stesso anno di quella di Torino, nel 1827, quando moriva il
Fondatore. Era un nobile ricco e potente, alto ufficiale, comandante la
piazzaforte della Città sotto il regime borbonico. Aveva sofferto nelle sue
carni, il tormento di una crudele malattia che lo ha aperto, da perfetto
cristiano, a sentimenti umanitari, alla comprensione e alla misericordia verso
gli umili, i poveri e i sofferenti.
Il giorno in cui è morto, il 20 marzo 1827,
è stato aperto il suo testamento olografo, steso due anni prima, i suddetti
suoi sentimenti religiosi e filantropici trovarono concreta espressione.
Lasciò, difatti, eredi universali, “Li
poveri di Messina e suoi Casali, che sono paralitici, zoppi, e che hanno altro
male o vizi nell’organizzazione del corpo per cui non possono lavorare o
procacciarsi il pane”. Nel destinare ai poveri la sua ricca eredità, ben 100.000
onze, (equivalenti a parecchi miliardi) diede precise disposizioni ai suoi
esecutori. Come annota Giuseppe La Farina, storico messinese, non tenero verso
i Borboni, che nella sua “Storia d’Italia, cita il Principe di Collereale con
sentimenti di profonda ammirazione e stima, la sua morte fu pianta in Messina,
come pubblica calamità, la città fu immersa in un profondo lutto.
Francescano,
innamorato dei Cappuccini, per suo espresso desiderio testamentario, fu
seppellito nella Chiesa dei Cappuccini che si trovava con annesso il Convento,
all’“Ignatianum”, vestito col saio francescano e sulla sua tomba fu posta una
bella epigrafe in latino, che è una preziosa reliquia. Nella “Casa di Collereale”
si conserva e si ammira, ancora il suo busto con la lapide in latino in cui si
esalta come esempio di meravigliosa carità. Questo busto marmoreo fu posto nel
1830, affinché, come recita la scritta, l’imperituro ricordo di un uomo
restasse sempre dinanzi agli occhi di tutti specialmente, dei poveri che
abitano la Casa: “s’invitano a invocare
per l’ottimo e piissimo Fondatore, l’eterno riposo”.
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