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 lunedì 10 luglio 2017

IL TACCUINO DI NUCCIO FAVA

Qualche domanda a Mario Orfeo, nuovo direttore generale della Rai

di Nuccio Fava


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Caro direttore, innanzitutto buon lavoro. Le forze politiche ti hanno passato una patata molto calda che tu hai accettato senza resistenza alcuna. I partiti hanno interesse a fare orecchie da mercante e si rimpallano, reciprocamente, responsabilità e strumentalizzazioni. Da anni ormai, ho lasciato l’azienda, ma mi addoloro vedendola in che stato è ridotta. La Rai non è, infatti, del direttore generale, né della presidente, né del consiglio. Nemmeno della commissione di vigilanza. La Rai è di tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro scelte di voto e dalle etichette partitiche. Che senso ha caratterizzare il tuo programma con la scelta di Fazio, e a che prezzo? Che senso ha annunciare sforzi titanici per avere Benigni o la Clerici a San Remo? La tentazione forte è dire ad alta voce “come siamo caduti in basso”.

Le stesse modalità della tua successione a Campo Dell’Orto restano opache e senza chiare motivazioni. Sono, fortunatamente, in campagna e mi godo Wimbledon su Sky; Rai sport nemmeno un fotogramma sul torneo più importante del mondo. Anche la delicata materia dei contratti stramilionari dei calciatori, procuratori, società e attese dei tifosi richiederebbero, forse, un qualche contributo di riflessione e non semplici annunci da mercante in fiera. Esprimono problemi cruciali delle nostre società complicate, non meno della corruzione e della mafia, spesso esauriti nei pochi secondi di un servizio giornalistico.

Se poi ampliamo lo sguardo ai grandi temi della crisi dell’Europa, di Trump e dell’espansionismo di Putin, del terrorismo e della tragedia dei migranti, dell’emergenza climatica, del lavoro e dei giovani nella crisi dei sistemi formativi, nella difficoltà delle famiglie, della tragedia della droga e dei suoi legami indissolubili con ‘ndrangheta e mafie interne e internazionali, la Rai dovrebbe sentirsi, fortemente, interpellata ed esprimere un’ininterrotta campagna informativa, culturale e civile, anche politica in senso alto e non partitico. Anche le gravi difficoltà, non solo politiche, che attraversano nel profondo la società italiana a cominciare dai rapporti con l’Europa, il suo ruolo futuro nella nuova globalizzazione diseguale e prevaricatrice.

Basta un semplice esempio: il presidente della Repubblica è stato ad Agrigento per il centenario pirandelliano. I notiziari Rai ne hanno dato adeguata notizia “istituzionale”. Può bastare? Il centenario di Luigi Pirandello nella crisi culturale contemporanea non meriterebbe di più? Bastano “Che tempo che fa” e forse Benigni, o forse se ne occuperà la Clerici? Temo, per paradosso, che non pochi italiani dinnanzi alle splendide immagini di Vigata e dintorni finiranno per ritenere Pirandello un collega del commissario Montalbano o un collaboratore dell’affaticato Camilleri. Scusami, direttore, dell’incursione un po’ “corsara”, ma la Rai e l’Italia si meritano, urgentemente, una qualità migliore. Ancora buon lavoro.


 


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