IL TACCUINO DI NUCCIO FAVA
Qualche domanda a Mario Orfeo, nuovo direttore generale della Rai
di Nuccio Fava
 Caro
direttore, innanzitutto buon lavoro. Le forze politiche ti hanno passato una
patata molto calda che tu hai accettato senza resistenza alcuna. I partiti
hanno interesse a fare orecchie da mercante e si rimpallano, reciprocamente,
responsabilità e strumentalizzazioni. Da anni ormai, ho lasciato l’azienda, ma
mi addoloro vedendola in che stato è ridotta. La Rai non è, infatti, del
direttore generale, né della presidente, né del consiglio. Nemmeno della
commissione di vigilanza. La Rai è di tutti i cittadini, indipendentemente
dalle loro scelte di voto e dalle etichette partitiche. Che senso ha
caratterizzare il tuo programma con la scelta di Fazio, e a che prezzo? Che
senso ha annunciare sforzi titanici per avere Benigni o la Clerici a San Remo?
La tentazione forte è dire ad alta voce “come siamo caduti in basso”. Le stesse
modalità della tua successione a Campo Dell’Orto restano opache e senza chiare
motivazioni. Sono, fortunatamente, in campagna e mi godo Wimbledon su Sky; Rai
sport nemmeno un fotogramma sul torneo più importante del mondo. Anche la
delicata materia dei contratti stramilionari dei calciatori, procuratori,
società e attese dei tifosi richiederebbero, forse, un qualche contributo di
riflessione e non semplici annunci da mercante in fiera. Esprimono problemi
cruciali delle nostre società complicate, non meno della corruzione e della
mafia, spesso esauriti nei pochi secondi di un servizio giornalistico.
Se
poi ampliamo lo sguardo ai grandi temi della crisi dell’Europa, di Trump e dell’espansionismo
di Putin, del terrorismo e della tragedia dei migranti, dell’emergenza
climatica, del lavoro e dei giovani nella crisi dei sistemi formativi, nella
difficoltà delle famiglie, della tragedia della droga e dei suoi legami
indissolubili con ‘ndrangheta e mafie interne e internazionali, la Rai dovrebbe
sentirsi, fortemente, interpellata ed esprimere un’ininterrotta campagna
informativa, culturale e civile, anche politica in senso alto e non partitico.
Anche le gravi difficoltà, non solo politiche, che attraversano nel profondo la
società italiana a cominciare dai rapporti con l’Europa, il suo ruolo futuro
nella nuova globalizzazione diseguale e prevaricatrice. Basta un semplice
esempio: il presidente della Repubblica è stato ad Agrigento per il centenario pirandelliano.
I notiziari Rai ne hanno dato adeguata notizia “istituzionale”. Può bastare? Il
centenario di Luigi Pirandello nella crisi culturale contemporanea non
meriterebbe di più? Bastano “Che tempo che fa” e forse Benigni, o forse se ne
occuperà la Clerici? Temo, per paradosso, che non pochi italiani dinnanzi alle
splendide immagini di Vigata e dintorni finiranno per ritenere Pirandello un
collega del commissario Montalbano o un collaboratore dell’affaticato Camilleri.
Scusami, direttore, dell’incursione un po’ “corsara”, ma la Rai e l’Italia si
meritano, urgentemente, una qualità migliore. Ancora buon lavoro.
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