RIMINI
Don Bosco ieri e oggi
di Alfonso Saya
 Al
meeting di Rimini, un curatore
appassionato della Mostra su “Don Bosco” afferma che è stata una sorpresa
straordinaria imbattersi in un uomo così, che ha un’attinenza impressionante
con il problema che affligge le giovani generazioni, fatte salve le differenze
tra due epoche molto distanti, a tenere banco, ieri e oggi, è “l’Emergenza
educativa” denunciata dal grande Papa emerito, Benedetto XVI. Ieri con Don
Bosco e oggi, la ricerca del senso della vita preme e si fa strada,
drammaticamente, nel cuore dei giovani. Don Bosco non ha mai preso sottogamba
questo lacerante problema ed ha dato l’unica e sola risposta: Gesù Cristo. Le
periferie di Torino pullulavano di orfani e giovani sbandati e derelitti che
alimentavano povertà e sfruttamento minorile.
Don
Bosco arriva da una periferia di Torino, dai Becchi, e prende il via la “santa
avventura”, la storia di un prete che ha cambiato l’esistenza di migliaia e
migliaia di giovani. L’educazione è fondamentale nella vita di un uomo, da
piccolo, Giovannino rimase orfanello a soli due anni e ha imparato da una santa
donna, Mamma Margherita, a riconoscere le tracce del Signore, e dalla sua
periferia dove è nato e cresciuto, bisogna provare per credere, il “satollo non
crede al digiuno” è arrivato, provvidenzialmente, alla periferia di tanti
giovani, ripeto, orfani, sbandati e derelitti. Ieri, si respirava una forte
secolarizzazione, nulla di nuovo sotto il sole, come oggi, e don Bosco,
contrastato e perseguitato da un feroce anticlericalismo, ha opposto un’eroica
resistenza e ha opposto, nel campo educativo, un sistema, un metodo educativo,
chiamato “preventivo”, basato su ragione, religione e amore.
In
un’intervista che rivela il suo profilo, la sua impronta, egli dichiara: “Il punto sta nello scoprire quali soni i
germi delle buone qualità dei giovani e poi svilupparli”. Con queste parole
traduce il senso dell’Educazione che significa, dal latino, “educere”, uscir
fuori, per cui l’Educazione è “l’Arte della levatrice”, l’Arte della Maieutica.
“Ognuno – dice ancora, il grande apostolo
della gioventù – sa fare con piacere solo
quello che sa di poter fare. Io mi regolo con questo principio, i miei giovani
lavorano tutti non solo con attività, ma con amore. In 46 anni, non ho mai
inflitto un solo castigo e oso affermare che i miei alunni mi vogliono tanto
bene. Il mio sistema, l’avete capito, è educare con ragione, religione e amore”.
Di questa sua capacità educativa non rende affatto merito a se stesso, ma al
Signore e alla Vergine Ausiliatrice.
Nelle
sue Memorie, difatti, scrive che “l’Educazione
è cosa di cuore”, e Dio solo ne è padrone, e noi non potremo riuscire a cosa
alcuna se Dio non ce ne insegna l’Arte e ce ne dà in mano, le chiavi. Tra tanti
giovani vi sono i carcerati che lui visita, sono 300 giovani arrestati per
furto e vagabondaggio, e fa loro Catechismo e con passione e amore si lega a
ognuno, come un padre è famoso, a proposito l’episodio della gita a Stupinigi.
Chiede al direttore del carcere di poter premiare i ragazzi con un’uscita dal
carcere, nonostante il diniego, lui insiste e si rivolge al ministro Rattazzi
che acconsente e promette di far disporre un numero di guardie sufficienti. “No, obietta don Bosco, si farà tutto senza
gendarmi e se anche uno solo dei ragazzi fuggirà, pagherò con il carcere”.
Tutto, difatti, è andato bene e quando incontra il ministro Rattazzi che gli
chiede come mai “a noi queste cose non
riescono e a lui sì”, don Bosco subito, risponde: “Perché lo Stato comanda e punisce. Io voglio bene ai miei ragazzi!”.
Il segreto è, quindi, l’Amore.
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