GIORNALISMO
XXII Edizione del Premio giornalistico “Natale U.C.S.I.”
di Marisa Frasca Rustica
 La
XXII Edizione del Premio giornalistico “Natale U.C.S.I.”
si ripropone all’attenzione dei cultori della carta stampata e della online, TV
e Radio, ponendo l’accento sulla solidarietà, l’integrazione sociale, la
convivenza civile, la fratellanza, l’attenzione verso il prossimo, la difesa
dei diritti e della dignità umana. Questo invito
rivolto ai giornalisti cattolici assume un particolare significato, in quanto
si espande nel clima disordinato, agnostico dell’epoca moderna, in cui la
parola “Amore”, inteso in senso lato, non esiste più, e con essa tutti quei
valori che ne derivano. Papa Francesco “tuona” (anche se non sembra) contro la
modernità poco interessata nel gestire i rapporti umani ed invita la voce
libera e consapevole dei giornalisti cattolici a collaborare alla costruzione di
un tessuto sociale dove l’ascolto, l’attenzione e l’amore, possano respingere l’indifferenza,
l’ipocrisia, la mania di prevalere ad ogni costo sugli altri, anche se non se
ne hanno le capacità. Il volume del portafoglio è quello ambito in ogni strato
sociale non escludendo anche quello, dolorosamente operante, sull’infanzia,
sugli anziani e vecchi che da soli chiedono giustizia.
La
Banca Popolare di Verona propone un Premio
“Il genio della donna”, intesa a
mettere in evidenza il valore della cruciale presenza femminile nella “difesa”
dei valori della convivenza civile che nella modernità della vita di oggi è,
alquanto, compromessa. Non si può negare che il rutilare di tante idee, più o
meno liberali, hanno modificato, anzi infiacchita, la figura della “signora”
che, non molti anni fa, reggeva con pazienza l’andamento familiare, dando,
contemporaneamente, un apporto sensibile alla società, anche educando i figli a
quei valori fondamentali che oggi mancano. Naturalmente, qui non si vuole
discutere del femminismo, oppure rinnegare il riconoscimento ottenuto dalla
donna nel campo culturale e scientifico ritenuto, esclusivamente, maschile, ma
si vuole mettere in evidenza che il poco tempo rimasto a disposizione della
donna moderna, divisa fra casa e lavoro, non le consente di ottemperare a tutte
quelle necessità idonee a “vivere meglio” anche se singole. La solidarietà, la
fratellanza, l’attenzione verso il prossimo, l’accoglienza, la difesa dei
diritti umani, sono affidate, realmente, al “genio” della donna, poiché la
donna è, essenzialmente, “madre” e la madre ama, non solo a senso unico, ma per
una facoltà chiave che le consente di affrontare e dirimere situazioni,
alquanto, difficili.
Dice
Sant’Agostino: “Sia in te la radice dell’amore,
poiché da questa radice non può procedere se non il bene”. Una figura,
sorprendentemente, moderna, che è riuscita a raccogliere nelle sue mani e
donare a coloro che l’hanno conosciuta i doni auspicati da tutte le persone
umane e che s’impone all’attenzione e alla riflessione di tutti noi, è quella
di suor Maria Nazzarena, nata Majone. Maria Majone è un personaggio emblematico
del Mezzogiorno d’Italia che visse ed operò nel difficile periodo post-unitario
della fine dell’800 e l’inizio del ‘900 quando la donna, generalmente, non era
molto autonoma. Anche allora, si manifestarono in Italia rivolgimenti sociali e
culturali che toccarono la Chiesa, la fede e l’intera società, mentre l’analfabetismo
colpiva i più e la corruzione regnava sovrana in taluni ceti sociali emarginati
ed abbandonati. A Messina, sorgeva il famigerato Quartiere Avignone, inteso “u
mignuni”, dove si viveva nell’assoluta promiscuità, fra ladruncoli e
prostituzione. Ma le vie del Signore sono infinite ed il famigerato luogo ebbe
la sua salvezza nell’interesse soprannaturale di un nobile messinese: il canonico
Annibale Maria di Francia, che andò a visitare quel famigerato ghetto da cui i
cittadini stavano ben lontani.
Accettando
con semplicità gli scherni ed i lazzi di quella povera gente immersa nel fango
e nella sporcizia maleodorante, il sacerdote ritornò spesso, curando le piaghe
di qualcuno abbandonato sulla strada e conversando amabilmente, e si accorse
che la situazione era in tale stato anche per la mancanza di sacerdoti che si
tenevano lontani da quell’inferno. Un pensiero si scolpì nella sua mente: era
necessario ROGARE, cioè pregare, perché il Signore delle Messi mandasse tanti
operai alla sua messe. Le sue visite si moltiplicarono: non esisteva più l’emarginazione
o il disprezzo per quell’evidente miseria, ed il suo rocambolesco disegno di
dare un tetto a chi non ne aveva mai avuto si unì alla necessità di dare loro
un boccone di pane. Non tenendo in nessun conto le critiche aspre che
giungevano da tutte le parti, accettò l’aiuto spontaneo che gli venne offerto
da alcune devote donne che accettarono di mendicare ovunque, imitando lo stesso
canonico per sfamare i miseri.
Un
pomeriggio di fine estate, due religiose si recarono a Graniti e si
presentarono al parroco don Vincenzo Calabrò chiedendo di essere aiutate. Bussarono,
così, alla porta di casa Majone dove trovarono Maria in compagnia dell’amica
Carmela D’Amore, due preziose Figlie di Maria che si offrirono a mendicare
assieme a loro, dopo averle ascoltate. Maria Majone era l’ultima dei sei figli
di Bruno Majone e Maria Falcone, nata il 21 giugno 1869 e battezzata il giorno
dopo secondo il patriarcale sentimento religioso del Paese. Graniti, il piccolo
trapezio incuneato nella Valle dell’Alcantara, era abitato da paesani,
generalmente dediti all’agricoltura, al pascolo, nel riscontro di un guadagno
necessario a vivere, ma non mancavano i poveri e le grandi intelligenze che
resero famoso questo luogo. Basti pensare allo scultore internazionale Peppino
Mazzullo, al sacerdote padre Vincenzo Caudo, noto grecista e latinista, il
fondatore del Giornale cattolico “La Scintilla”.
La
mamma della giornalista Maria Grazia Cutuli, assassinata nell’Afghanistan, era
granitese. Numerosi validi professionisti e uomini di Stato lasciarono il Paese.
Il sentimento religioso dell’ambiente si manifestava, specialmente, alla
raccolta delle olive e della saporosa uva, quando si ringraziava il Signore
tutti insieme per il dono fatto. Maria Majone visse in quell’atmosfera di
carità e di fede che l’accompagnò per tutta la sua vita e la convinse a recarsi
a Messina, con l’amica Carmela D’Amore, per aiutare quello strano sacerdote,
Annibale Maria di Francia, a raccogliere tanti orfani ed orfanelle sperduti
nella miseria morale alla quale erano, inevitabilmente, destinati. L’accettazione
del ROGATE, s’inserì a piene mani nel suo agire, trasformando suor Maria
Nazzarena nella collaboratrice diretta ed efficiente, capace di seguire il
padre nell’attuazione dell‘opera di redenzione basata sul lavoro ed anche sui
tanti espedienti azzardati in cui nessuno credeva di possibile realizzazione.
Lei, non scolarizzata, ebbe l’abilità di affrontare situazioni difficilissime,
quale quella di raccogliere, sotto traballanti tetti, gente disperata, orfanelle
abbandonate, accettando pienamente il volere del fondatore che non cessava di
cercare un ricovero più adeguato.
Un
forno abbandonato divenne il primo oggetto utile a sfamare tutti ed il pane
impastato dalle religiose divenne il mezzo principe per aiutare, concretamente,
la povera gente. Riportare per intero tutto quanto accadde negli anni a venire,
ma sarebbe troppo lungo elencarlo, del resto è, universalmente, riconosciuta la
testardaggine con la quale il padre Annibale riuscì a superare gli ostacoli
posti dalla stessa chiesa locale, ma che trovò in suor Maria Nazzarena una
collaboratrice adeguata che si meritò, giustamente, il titolo di cofondatrice,
sostenuto dalla sua innata umiltà ed amore materno riconosciuto da tutti. Tali
qualità furono necessarie a ricostruire in Puglia gli orfanotrofi, ospitati
dopo la catastrofe di Messina del 1908, di fondarne altri a Taormina e
Giardini, di partecipare con la solita umiltà e rispetto alla risoluzione di
fondare orfanotrofi e scuole a Roma, consigliando, a volte, lo stesso sacerdote
che ebbe in grande considerazione “questa figlia benedetta di Gesù”. La
prudenza ed intelligenza s’“incardinarono” nel suo “Genio” e la sua presenza
femminile ebbe un valore essenziale nella difesa dei valori, non solo esclusivamente
religiosi, ma anche civili nel dimostrare che il lavoro è il mezzo più idoneo a
vivere con dignità. La sua partecipazione alla vita sociale non si limitò
soltanto al Quartiere Avignone, ma anche in Puglia, a Trani, dove si recò,
assieme ad altre suore, dopo un violento acquazzone ed un estenuante viaggio durato
sei ore, per esporre lavori di tessitura, cucito e ricamo, un’iniziativa che
era rivolta alle donne, interessandole ad un proficuo lavoro e,
contemporaneamente, guidandole all’istruzione religiosa.
S’impegnava,
così, a mantenere vivo il ROGATE di padre Annibale, poiché i sacerdoti invitati
erano coinvolti nel regime di guerra. Il colera del 1910 la vide in azione a
Taormina per costruire un lazzaretto, affrontando le comprensibili reazioni comunali,
poiché il male si allontanò dalla zona. L’entrata in guerra dell’Italia (Prima Guerra
mondiale), la indusse ad ammassare il grano, infatti Messina fu salvata dalla
fame dal forno dello Spirito Santo, dove le suore e la loro madre superiora
lavorarono, incessantemente, a produrre le pagnotte. L’ex Convento dei
Cappuccini di Taormina era vicino alle prigioni e le suore vedevano i carcerati
durante l’ora dell’aria. La fama della carità di suor Nazzarena indusse un
sorvegliante a chiederle di benedire un carcerato forse in fin di vita. La
madre chiese l’aiuto d’un sacerdote perché confessasse tutti e, poi, si recò a
confortare il carcerato facendolo parlare ed invitandolo a pentirsi.
Naturalmente, le contrarietà di ogni tipo, sia di natura politica che di natura
miseramente umana, la coinvolsero, ma lei, forte nella fede, chiuse gli occhi,
sopportando con dignità anche le inevitabili gelosie che di solito si abbattono
sulle persone speciali. Rimase madre nella memoria di chi ebbe la fortuna di
conoscerla ed i suoi scritti la resero degna del titolo di “Venerabile”,
concessole da Giovanni Paolo II, postulante suor Rosa Graziano.
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