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 mercoledì 23 aprile 2014

RACCONTI

L’Etna ed il suo spettacolo

di Salvatore Galeano


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La stagione venatoria di quest’anno ha visto un “passo” di beccacce, abbastanza, ricco.

Durante il mese di novembre, il mio cane Gigi X, bell’esemplare di Spinone, ne ha incontrate quattro, cinque, sei, ma, anche, di più, per ogni uscita. Più che un piacere è stato un tormento. Il cane si fermava davanti a me e la beccaccia partiva a cinquanta metri come un proiettile, il tutto in un contesto nebbioso, che, spesso, mi impediva di vederla, chiaramente, con il risultato di un susseguirsi di fucilate.. a vuoto.

Prima le piogge torrenziali, che sconvolsero le strade di campagna, poi, verso la metà di dicembre, incominciarono ad arrivare le nevicate, che si susseguirono con brevi intervalli di schiarite per il resto della stagione venatoria, che si chiuse, per me, con un magro carniere.

Fu, così, che, in un breve intervallo di tregua meteorologica, tentai, ancora una volta, la sorte in un mattino del gennaio scorso. Dopo aver espletato tutte le incombenze di rito, mi avviai con la mia macchina, e con Gigi X a bordo, verso la mia meta. Appena, imboccata la strada della valle del fiume Alcantara, notai dei bagliori rossastri provenienti dalla mia sinistra. Era il vulcano Etna, durante una piena attività eruttiva: poiché la strada per raggiungere Francavilla di Sicilia ed oltre, si snoda attraverso la valle dell’Alcantara, fiancheggiata ai due lati da colline intermittenti, di tanto in tanto, riuscivo a vedere il cratere centrale arrossato da getti continui di lava infuocata.

Superata Francavilla, e la montagna che la sovrastava, appena, iniziai la discesa per la piana di Mojo Alcantara, mi resi conto, appieno, di quello che stava “combinando” l’Etna. Decisi, così, di fermarmi e, quindi, scendere dalla macchina: era uno spettacolo unico, nel suo genere ed irripetibile, nella sua particolarità. Un getto continuo di fuoco s’innalzava verso l’alto e man mano che saliva si trasformava in gas bianco frammisto a ceneri, lapilli, brandelli di lava incandescente e boati, come se all’interno una corte di Ciclopi si affannasse a soffiare senza tregua.

La spettacolarità del fenomeno era accentuata dal fatto che, a quota di 3.300 mt. slm., non c’era un alito di vento, per cui la massa piroclastica saliva dritta verso il cielo e, dopo un paio di centinaia di metri, si apriva dando forma ad un cono.

Nel punto in cui mi trovavo potevo avere un’ampia visione dell’Etna. Potevo godere di quel particolare spettacolo, in tutta la sua maestosità, favorito da un cielo, senza uno straccio di nuvola, ancora, ammantato di stelle. I gas continuavano a salire, alimentati dal basso dal getto infernale del cratere. Assumevano forme strane, dilatandosi e restringendosi, a seconda della potenza dell’energia endogena.

Continuavo a guardare a bocca aperta, affascinato ed estasiato. Frattanto, la luce del nuovo giorno continuava a crescere, finché, apparirono i primi raggi di sole, che andavano a colpire la massa dei gas del lato esposto a sud. A questo punto, il cono dei gas subì una trasformazione: il lato a sud diventava rosa, la parte centrale bianca e quella a nord nera. Ed ecco che.. il cono-gelato al gusto di fragola, limone e cioccolato era servito: non restava che allungare il braccio per afferrarlo ed assaggiarlo.

E fu, in quel momento, che mi sentì in uno stato di grazia: stranito, rilassato, estasiato, appagato, come se avessi la sacca della cacciatora piena di beccacce. A proposito di beccacce.., mi ero, quasi, dimenticato della mia destinazione. A riportarmi con i piedi per terra fu il freddo pungente di quel mattino del gennaio scorso.

Mentre salivo in macchina per ripartire, due versi di un famoso poeta tedesco, consoni al mio stato d’animo di quei momenti, attraversarono la mia mente come due dardi, pescati dalla faretra dei ricordi e scoccati da non so chi.. “Noi non abbiamo più nulla da cercare, il cuore è sazio, il mondo è inutile” – Novalis.


 


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