RACCONTI
L’Etna ed il suo spettacolo
di Salvatore Galeano
La
stagione venatoria di quest’anno ha visto un “passo” di beccacce, abbastanza,
ricco.
Durante il
mese di novembre, il mio cane Gigi X, bell’esemplare di Spinone, ne ha
incontrate quattro, cinque, sei, ma, anche, di più, per ogni uscita. Più che un
piacere è stato un tormento. Il cane si fermava davanti a me e la beccaccia
partiva a cinquanta metri come un proiettile, il tutto in un contesto nebbioso,
che, spesso, mi impediva di vederla, chiaramente, con il risultato di un
susseguirsi di fucilate.. a vuoto.
Prima le
piogge torrenziali, che sconvolsero le strade di campagna, poi, verso la metà
di dicembre, incominciarono ad arrivare le nevicate, che si susseguirono con
brevi intervalli di schiarite per il resto della stagione venatoria, che si
chiuse, per me, con un magro carniere.
Fu, così,
che, in un breve intervallo di tregua meteorologica, tentai, ancora una volta,
la sorte in un mattino del gennaio scorso. Dopo aver espletato tutte le
incombenze di rito, mi avviai con la mia macchina, e con Gigi X a bordo, verso
la mia meta. Appena, imboccata la strada della valle del fiume Alcantara, notai
dei bagliori rossastri provenienti dalla mia sinistra. Era il vulcano Etna, durante
una piena attività eruttiva: poiché la strada per raggiungere Francavilla di
Sicilia ed oltre, si snoda attraverso la valle dell’Alcantara, fiancheggiata ai
due lati da colline intermittenti, di tanto in tanto, riuscivo a vedere il
cratere centrale arrossato da getti continui di lava infuocata.
Superata
Francavilla, e la montagna che la sovrastava, appena, iniziai la discesa per la
piana di Mojo Alcantara, mi resi conto, appieno, di quello che stava “combinando”
l’Etna. Decisi, così, di fermarmi e, quindi, scendere dalla macchina: era uno
spettacolo unico, nel suo genere ed irripetibile, nella sua particolarità. Un
getto continuo di fuoco s’innalzava verso l’alto e man mano che saliva si
trasformava in gas bianco frammisto a ceneri, lapilli, brandelli di lava
incandescente e boati, come se all’interno una corte di Ciclopi si affannasse a
soffiare senza tregua.
La
spettacolarità del fenomeno era accentuata dal fatto che, a quota di 3.300 mt.
slm., non c’era un alito di vento, per cui la massa piroclastica saliva dritta
verso il cielo e, dopo un paio di centinaia di metri, si apriva dando forma ad
un cono.
Nel punto
in cui mi trovavo potevo avere un’ampia visione dell’Etna. Potevo godere di
quel particolare spettacolo, in tutta la sua maestosità, favorito da un cielo, senza
uno straccio di nuvola, ancora, ammantato di stelle. I gas continuavano a
salire, alimentati dal basso dal getto infernale del cratere. Assumevano forme
strane, dilatandosi e restringendosi, a seconda della potenza dell’energia
endogena.
Continuavo
a guardare a bocca aperta, affascinato ed estasiato. Frattanto, la luce del
nuovo giorno continuava a crescere, finché, apparirono i primi raggi di sole,
che andavano a colpire la massa dei gas del lato esposto a sud. A questo punto,
il cono dei gas subì una trasformazione: il lato a sud diventava rosa, la parte
centrale bianca e quella a nord nera. Ed ecco che.. il cono-gelato al gusto di
fragola, limone e cioccolato era servito: non restava che allungare il braccio per
afferrarlo ed assaggiarlo.
E fu, in
quel momento, che mi sentì in uno stato di grazia: stranito, rilassato,
estasiato, appagato, come se avessi la sacca della cacciatora piena di
beccacce. A proposito di beccacce.., mi ero, quasi, dimenticato della mia
destinazione. A riportarmi con i piedi per terra fu il freddo pungente di quel
mattino del gennaio scorso.
Mentre
salivo in macchina per ripartire, due versi di un famoso poeta tedesco, consoni
al mio stato d’animo di quei momenti, attraversarono la mia mente come due
dardi, pescati dalla faretra dei ricordi e scoccati da non so chi.. “Noi non abbiamo più nulla da cercare, il
cuore è sazio, il mondo è inutile” – Novalis.
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