ACCADEMIA PELORITANA DEI PERICOLANTI
Messina – In Ateneo il ricordo di Mario Francese, giornalista dalla schiena dritta
di Redazione
Si
è svolto, presso la Sala dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, un
seminario sul tema “Il giornalista con la schiena dritta. Riflessioni su Mario
Francese a quarant’anni dall’uccisione”. Ospite dell’incontro è stato Giulio
Francese, primogenito del giornalista ucciso dalla mafia e presidente dell’Ordine
dei Giornalisti di Sicilia. Sono intervenuti anche il prof. Giovanni Moschella,
presidente del Centro studi sulle Mafie, il prof. Luigi Chiara, direttore del
Centro studi sulle Mafie, il prof. Marco Centorrino, docente di Sociologia
della Comunicazione, la giornalista Claudia Benassai e Alessio Gugliotta,
coordinatore UniVersoMe, testata giornalistica multiforme degli studenti Unime.
L’evento, organizzato dalla redazione di UniVersoMe, si concluderà, in Sala Senato, con un workshop giornalistico rivolto agli studenti
dell’Ateneo peloritano. “Il seminario di
oggi – ha detto il prof. Moschella – non
rappresenta solo un’occasione per ricordare il giornalista del Giornale di Sicilia, Mario Francese, ma anche un
motivo di riflessione sull’amore per la verità e sul coraggio di manifestarla. L’omicidio di Francese si
inquadra in un momento storico di profondo mutamento per le vicende siciliane e italiane. Egli scrisse senza paura, ponendo
l’accento sul modello dell’organizzazione
mafiosa incentrato sul ruolo della commissione e sull’avanzata, ancora nella
sua fase iniziale, delle famiglie
corleonesi. Il ‘79 fu una stagione di delitti ‘eccellenti’ che cominciarono
proprio il 26 gennaio con l’omicidio di
Mario Francese”.
“Come già evidenziato dal prof. Moschella
– ha continuato il prof. Chiara – il
contesto storico di fine anni
Settanta è denso di mutamenti all’interno della criminalità mafiosa. Questo
periodo segna, infatti, una cesura con il passato e Francese fu un attento e
rigoroso testimone di tutto questo cambiamento:
le famiglie campagnole di Corleone cominciarono a gettarsi in grandi affari e
tutto ciò, da lì a poco, condusse
alle conseguenze che tutti noi conosciamo”.
“Nel tempo, il ruolo svolto dal
giornalismo nel contrasto alla criminalità organizzata – ha commentato il
prof. Centorrino – non è stato mai approfondito. Ho avuto la
fortuna di poter lavorare al fianco di Beppe Alfano che, durante il suo lavoro, creò un legame forte con le
sue fonti; amava molto la macchina fotografica e, due giorni prima di essere
ucciso, sul luogo di un omicidio, fu chiamato dai Carabinieri per effettuare i
rilievi scientifici che avrebbero
contribuito alle indagini. Il giornalista di cronaca nera giudiziaria è colui che vive la Questura, sta vicino agli
inquirenti per svolgere il suo compito. Per questo motivo, risulta essere una minaccia per la mafia sia
in termini di denuncia che di partecipazione alle indagini. Eventi come quello odierno sono piccoli
mattoncini che possono contribuire a combattere l’omertà mafiosa e il sicilianismo negazionista di
facciata”.
“Francese era un irriducibile
amante della verità – ha detto Alessio Gugliotta – e questo agli occhi della mafia faceva di lui una bomba pronta a esplodere e, quindi, andava disinnescata con
il silenzio finale che è durato più di vent’anni. Per Mario Francese è
terminato soltanto grazie all’impegno dei figli Giulio e Giuseppe, i quali
hanno fatto di tutto per riaprire il
caso che ha portato alla condanna, tra i tanti, di Riina e Bagarella”.
“Poche parole – ha aggiunto la
giornalista Claudia Benassai – per
sottolineare come Mario Francese, ancora
oggi, possa rappresentare la sveglia morale per tutta la categoria. Il suo
carattere, la ricerca, la dedizione sono le caratteristiche che ogni buon
giornalista dovrebbe avere. Troppe ore vengono trascorse davanti al computer senza consumare più le scarpe. È
importante tener vivo il suo esempio e
ricordare il suo modo di scrivere, di fare inchiesta, senza alcun timore”.
“Gli articoli di mio padre – ha concluso
il presidente dell’OdG Sicilia, Giulio Francese – erano densi di spunti e ricchi di notizie e umanità nei confronti della gente comune. Viveva in tempi in cui una
cosa scritta sul giornale contava
tantissimo solo perché appariva tra le pagine. L’opinione pubblica vedeva in
mio padre una persona credibile, ma
la sua figura fu subito dimenticata. Avevamo una casa a Campofiorito, Città di
mia madre a 12 chilometri da Corleone e, durante il viaggio da Palermo verso il
Paese, lui faceva molte soste. Amava
entrare, naturalmente, in empatia con le persone e in loro trovava le sue
fonti. Scrisse di mafia e della
catena di morti che aveva uno schema ben preciso e fu il primo, nel 1975, a
parlare di ‘cupola’, ancor prima del
primo grande pentito di mafia, Tommaso Buscetta, che lo fece nel 1984. La sentenza del 2001, riaperta
anche grazie all’impegno di mio fratello Giuseppe, è stato al contempo, un
punto d’arrivo e di inizio per raccontare la verità sulla storia di Mario
Francese. Come è ben descritto nel film di Pif ‘La mafia uccide solo d’estate’,
la gente non si faceva domande sull’esistenza
della mafia dando credito a false storie su tutte le sue vittime oppure
preferendo il silenzio. Ci sono
volute le stragi per scuotere le coscienze, ma adesso tutti coloro i quali
hanno dato la vita per la verità e la
giustizia meritano di essere ricordati. Mio padre è morto perché si è
avvicinato troppo ad una verità che doveva essere taciuta”.
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