DICCI LA TUA
Europa si, Europa no, Europa... forse
di Redazione
Che
si volesse creare un’Europa intesa come unico soggetto politico, giuridico e
commerciale, fu intuito e progettato da pochi (nella sua fase iniziale) e da
molti (nell’imminenza del suo esordio), ma la sua realizzazione pratica non è
stata valutata appieno, considerate le evidenti difficoltà emergenti. Mi
riferisco al tentativo di uniformare e rendere comuni funzioni legislative,
esecutive, giudiziarie, commerciali, di istruzione e via discorrendo. Appariva
chiaro che un’Europa comune avrebbe evitato le evidenti frammentazioni fra
Stati e che questo si sarebbe trasformato sicuramente in un vantaggio, ma il
dotarsi di regole comuni e soprattutto conciliare le varie singolarità per
trasformarle in una pluralità vera e organica, appariva tutt’altra cosa; questo
obiettivo (di più ampio respiro temporale ed un po’ più complesso) sembrò
eludibile semplicemente lasciando le cose così come si presentavano all’ingresso
dei paesi membri e consentendo a ciascuno di aderire al progetto, con l’errore
fondamentale però di cristallizzarne la peculiare situazione economica d’ingresso
senza alcun tentativo di renderla compatibile con quella degli altri partners e
cesellando, di fatto, un valore iniziale di riferimento più o meno debitorio e
più o meno distante da quella assunto a riferimento (in quel particolare
momento storico) dalla Germania.
A
lei, dunque, il compito di diventare così biglietto di presentazione dell’emergente
Europa unita, con indubbio, implicito (e sottaciuto) vantaggio. Se da un lato
non è in discussione la volontà di costituire un unico soggetto europeo, dall’altro
ciò ha inevitabilmente compromesso l’indipendenza economica di ogni singolo
Stato, trasformandolo da soggetto sovrano, autonomo e gestore della propria
economia, a debitore perpetuo fino al raggiungimento di un risanamento
contabile che lo riavvicini al primo della classe: da liberi inter pares a
diversi fra diversi e il cui destino dipende inequivocabilmente da altri. Come
abbiamo fatto a cacciarci in questo vicolo cieco? Semplice: considerando noi
stessi un soggetto di caratura inferiore, accettando questo come un dato di
fatto e obbedendo alla parola d’ordine del tempo: entrare a tutti i costi,
realizzare strenuamente un sogno e anteporlo a tutte le possibili e
spiacevolissime conseguenze. Si può anche essere sognatori e ottimisti (posso
anche capirlo), ma le intenzioni, a prescindere, devono fare sempre i conti con
la realtà per essere valide, accettabili e fattibili.
Un
numero è emblematico (1936,27) e ha stigmatizzato nettamente la distanza fra
noi e gli altri. Un esempio? In precedenza, con una cifra stimata di 1.500.000
di lire, una famiglia monoreddito riusciva a soddisfare le proprie necessità ed
in complesso alimentava una buona domanda interna di consumi; da quel fatidico
giorno, la stessa famiglia poteva contare, al cambio, su un reddito complessivo
mensile di circa € 800,00: che bellezza! Grazie a coloro che in quel frangente,
agendo da posizione privilegiata, vincolavano con tali decisioni il resto della
popolazione: complimenti! E non hanno nemmeno preteso che, all’ingresso nella
Comunità, tutti i debiti sovrani venissero calcolati in comune (visto che si
costituiva una società di nazioni) vale a dire quantificare un minimo comune
debitorio uguale per tutti (partendo dalla cifra dello Stato che ne aveva meno
in percentuale) e solo le eccedenze (pur significative di qualche stato, e solo
quelle) poste a conteggio e risarcimento in tempi e modi da concordare: questo
ci avrebbe fornito tutto il tempo per respirare, programmare e organizzare una
strategia economica in grado di garantire a noi (nel tempo) una pari dignità
fra le altre nazioni (pares inter pares). Non è stato fatto e le conseguenti
dinamiche ci hanno relegato al ruolo di perenni subalterni, ogni giorno
obbligati a recepire direttive da chi, in tempi andati, era un pari ruolo.
Errare è umano, ma urge adesso un correttivo, stilato e ponderato da illustri
economisti che, superando gli egoismi nazionali, sappiano porre fine a tali
discrepanze e fornire coerenti direttive comuni nell’interesse collettivo per
realizzare così un’Europa delle nazioni equa (dal punto di vista economico e
politico) e in grado di divenire modello quasi unico per il resto del mondo.
Giovanni
da Messina
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