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 lunedì 17 marzo 2014

STUDI CONDOTTI DALLA SOCIETÀ ITALIANA PEDIATRICA

Aiuto!!! Mio figlio è un adolescente

di Mariagrazia Tripodo


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Immaginiamo, dopo una lunga e serena passeggiata con nostro figlio, ancora, bambino, d’imbatterci in un fiume in piena.

Non possiamo stare a guardare ed aspettare che le correnti del fiume rallentino! È necessario attraversarlo.

Quel fiume, dalle correnti impetuose, si chiama Adolescenza e divide l’età Infantile dall’età adulta.

L’adolescenza è un momento di particolare cambiamento e trasformazione, non solo per l’adolescente, ma per l’intero sistema familiare che dovrà attivare nuovi processi di adattamento.

La famiglia, infatti, si trova a dover sincronizzare due movimenti antagonisti e di forte intensità: da un lato la tendenza della famiglia all’unità, al mantenimento dei legami affettivi e del senso di appartenenza; dall’altro la spinta verso la differenzazione e l’autonomia dell’adolescente (gli amici, il gruppo, primi innamoramenti) che permetterà la separazione da sé (bambino) e dalla famiglia.

Per i genitori diventa difficile accettare che i propri figli stanno diventando adulti e per aiutarli nel fisiologico processo di emancipazione, anch’essi, devono mettere in discussione il proprio ruolo genitoriale. Senza dubbio, la qualità delle relazioni familiari e l’adozione di uno stile educativo efficace determineranno la competenza e la fiducia con cui gli adolescenti affrontano il periodo di transizione dall’infanzia all’età adulta.

Uno stile educativo autorevole, in cui i genitori sono rassicuranti e comprensivi, comunicativi, ma fermi, è, senza dubbio, rispetto ad altri modelli (democratico, autoritario, incoerente), quello che favorisce il “ben-essere” del ragazzo “fisiologicamente” travagliato dalla crisi adolescenziale.

L’autorevolezza, da non confondere con l’autorità, dovrà essere caratterizzata dall’incoraggiamento all’autonomia e all’indipendenza dei figli, dalla valorizzazione della forza dei legami familiari, dalla disponibilità ad ascoltare l’adolescente e ad affrontarlo, anche, nei conflitti più accesi dicendo, anche, NO.

I NO vanno spiegati, motivati, detti non per mancanza di fiducia, ma per il “ben-essere” del ragazzo.

L’adolescente, ogni tanto, ha bisogno di sentirsi dire di NO per potersi scontrare e confrontare. Il NO del genitore significa che ci s’interessa, ma deve essere un NO coerente e flessibile. Un NO che dia spazio all’ascolto, al confronto e al conflitto per mettersi in discussione, capire cosa è giusto e cosa è sbagliato.

I NO che aiutano a crescere portano il ragazzo a comprendere che per poter sperimentare la propria libertà si ha, necessariamente, bisogno di trasgredire.

A proposito dei NO, secondo uno studio condotto dalla “Società Italiana Pediatrica”, gli adolescenti ritengono che i propri genitori intervengono meno di quanto loro reputerebbero ragionevole che un genitore faccia. E c’è di più! Solo circa il 20% di questi adolescenti sostiene che le regole imposte dai genitori siano troppe, mentre per il 70% vanno bene così e per il 10% sono, addirittura, poche.

Trovare che in un’età considerata, tradizionalmente, di “ribellione si vada tutti d’amore e d’accordo (70 %) la dice lunga!!!!

Ma, se non esistono regole (intese come confini, paletti), neanche la trasgressione potrà esistere. E la libertà non sarà qualcosa da doversi, faticosamente, conquistare, ma uno stato delle cose dato per scontato.

L’adolescenza, insomma, è una “guerra” in cui gli adolescenti devono andarsi a cercare il fronte giorno per giorno. Ma per fare una guerra e, magari, vincerla c’è bisogno di un nemico che, almeno ogni tanto, sbarri la strada, tracci dei confini.

La famiglia dovrebbe, da sempre, assicurare quel “nemico” all’ adolescenza. Un nemico speciale che combatte non per distruggere, ma per far crescere l’avversario.


 


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