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 mercoledì 18 aprile 2018

RECENSIONE

IO VIAGGIO DA SOLA: il diario di una moderna viaggiatrice

di Tiziana Santoro


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Maria Perosino, storica dell’arte, curatrice di mostre e scrittrice – prematuramente strappata alla vita – ci ha lasciato un diario di viaggio che, oltre a essere un prontuario utile per organizzare un itinerario, è, soprattutto, un’esperienza autobiografica che rivela numerosi punti di contatto con le donne del nostro secolo. “Io viaggio da sola” è la condizione naturale di chi – un po’ per istinto e un po’ per caso – ha dovuto imparare a cavarsela da sola. La storia di Maria inizia il 26 ottobre del 1998, quando, dopo la morte del suo compagno, obbedendo al proprio istinto di sopravvivenza, ha iniziato a muoversi alla ricerca di un nuovo set in cui recitare la vita e di una nuova geografia degli affetti. Viaggiare da sola non significa essere sola, né agire per ripiego, ma prendere la propria vita, impacchettarla e tenerla per mano entrando e uscendo dalle vite degli altri, una comunità di nomadi spinti dal lavoro, dallo spirito di ricerca a viaggiare e condividere.

Che si viaggi da sole, con un amante, un amico o un collega, con un’amica o una manager l’importante è imparare a farsi compagnia, organizzarsi, costruire abitudini e fare scelte che siano in accordo con se stessi, impadronirsi di un luogo e credere che sia sempre possibile ricominciare da capo. Viaggiare è per Maria un atto di fede incrollabile nell’esistenza di un’alternativa alla noia, alla quotidianità e un esercizio per nutrire la propria autostima. Il modo più agevole per spostarsi è – secondo Maria – il treno: luogo in cui non si è soli, ma si può stare da soli. Il vagone è un luogo da abitare, in cui osservare se stessi mentre si vive e si sfiorano le storie di altri. Maria è, oltremodo, catturata dal fascino delle stazioni: luoghi in cui le persone sostano e costruiscono una nuova biografia, diversa dalle consuetudini lasciate a casa. Con grande ironia e sapiente spirito d’osservazione, Maria racconta le storie e traccia i profili di chi popola le stazioni; con sagacia, tra tanti, individua e caratterizza la tipologia del “viaggiatore ansioso”, in preda alla sindrome da prestazione: sempre in anticipo e con gli occhi fissi sul tabellone, completamente assorto “dall’azione estrema” di aspettare il treno.

La stazione è – per Maria – un luogo che alimenta la sua fantasia, l’ipotesi di un’alternativa di vita, immaginata e sfiorata, in qualche modo vissuta. La vacanza ideale – secondo la scrittrice – non è solo quella “intelligente”, non può ridursi ad un itinerario culturale, né ad un pacchetto all inclusive, ma è quella che soddisfa le proprie curiosità e non obbedisce ai luoghi comuni. Pertanto, è intelligente stabilire cosa si vuole fare, è legittimo perdere tempo, andarsene a zonzo, sentirsi liberi. Le uniche tre regole suggerite da Maria sono un invito a essere curiose, ad assecondare i cinque sensi a dedicarsi del tempo. I viaggi di Maria da adulta sono ben diversi da quelli fatti in gioventù con la famiglia. L’evento, l’attesa, i preparativi e gli interminabili spostamenti in automobile appartengono solo ai ricordi d’infanzia, per Maria il significato di un viaggio non consiste nel chiudere la porta di una casa, bensì nell’aprire una porta su nuovi scenari e paesaggi.

Quando il viaggio diventa consuetudine, in Maria subentra la consapevolezza di vivere sempre in trasferta e di essere capace “di far casetta ovunque”, anche alla fermata del tram, infatti, c’è tempo per leggere un libro, chiamare un’amica, sistemarsi la sciarpa, specchiarsi nel vetro, ripassare l’eye-liner. Maria vive, viaggia, costruisce la sua nuova famiglia di affetti, si nutre dell’esperienza altrui, gode del buon cibo e delle risorse che le città che visita le offrono, eppure le sfugge il finale del suo racconto. Le sfuggono i sentimenti, le paure e le incertezze di una donna capace di “addomesticare l’altrove e portarselo a casa” ed è a questo punto che il viaggio assume quasi i caratteri di un “rito d’iniziazione” che scandisce il passaggio all’età adulta. Maria, quando si osserva è una bambina al centro di una foto con due genitori sullo sfondo, lo sguardo curioso, impaurito e un pugno dritto verso il futuro.

Cosa prova e cosa sente Maria? Nemmeno se lo chiede, si era trovata su una strada e aveva iniziato a camminare naturalmente, ad andare avanti, indaffarata, senza aspettare nessuno, né che qualcosa accadesse, semplicemente, proseguiva a ritmo di musica e costruiva per sé un passato affollato di luoghi, facce, amici, complici e amori. Come nella fiaba “La regina delle nevi” il viaggio è rinascita, è l’impresa compiuta da una protagonista paurosa e spaventata, che non ha esitato a partire da sola e a contare solo su se stessa e sulle proprie capacità di relazione. Accadde, così, che benché lei non ne avesse percezione, gli altri nutrissero la ferrea percezione della sua forza e del suo valore. Maria, come la protagonista della fiaba, ha camminato per il mondo con le sue sole gambe “alcuni tratti li ha percorsi con eleganza, altri con scarpe ed abiti rustici, altri a piedi nudi”, ma tutto ha contribuito alla sua crescita personale e umana.

La scrittrice, consapevole del prezzo da pagare, per un secondo sembrava che volesse interrogarsi sull’utilità della sua esperienza e se sia valsa la pena di attraversare tante difficoltà e dolori per acquisire la consapevolezza di essere diventata una donna forte, adulta e caparbia. La domanda, tuttavia, è presto accantonata, in una vita fatta di avvenimenti spiacevoli e di opportunità, Maria ha preferito imparare a viaggiare e stare al mondo nutrendosi di quei dettagli che la rendono felice. Persino l’opportunità degli incontri, la selezione delle persone da trattenere o da lasciare andare, hanno coinciso col suo modo di abbracciare la vita senza riserve, facendo di ogni incontro l’occasione per scegliere di circondarsi di veri affetti e stimati amici.


 


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