MALTA
La vostra fatica non è vana nel Signore
di Fra Mario Attard
Era
il venerdì, 2 febbraio, la Festa della
Presentazione di Gesù al Tempio, o comunemente conosciuta come la Festa della Candelora. La stessa data ci
ricorda anche la Giornata mondiale della vita consacrata. Alla mattina,
esattamente alle ore 08.30 del mattino, celebrò la messa funebre di un membro
scomparso della nostra famiglia parrocchiale. Quando vengo al convento dall’ospedale,
dove lavoro giorno e notte, mi piace tanto dare il mio piccolo contributo in
parrocchia, specialmente nel celebrare e gustare la messa col popolo di Dio.
Come ha ben ribadito Papa Francesco quando ha ricevuto in udienza i
partecipanti al Convegno organizzato dalla Congregazione per il Clero in
occasione del 50° Anniversario dei decreti
conciliari Optatam Totius e il Presbyterorum ordinis, nel 20 novembre 2015: “Si diventa preti per stare in mezzo alla gente: la vicinanza... Il bene
che i preti possono fare nasce soprattutto dalla loro vicinanza e da un tenero
amore per le persone. Non sono filantropi
o funzionari, i preti sono padri e fratelli. La paternità di un sacerdote fa tanto bene”.
Ma
anche il prete, come il padre e il fratello in famiglia, ha tanto bisogno di
una buona parola. Vale a dire ha la necessità della vicinanza del Padre Celeste
lui stesso. Allora, anche il prete ha l’esigenza di ascoltare quella parola che
lo porta più in più nel profondo e la bellezza della sua vocazione e missione.
Personalmente, parlando la parola che mi fatto un oceano di bene in quella messa
mattutina è stata quella pronunciata nella prima lettura, estratta dalla Prima
Lettera ai Corinzi: “Perciò, fratelli
miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del
Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi
15,8).
A
me, “un semplice lavoratore nella vigna del Signore” – come si definì Papa
Benedetto XVI, dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro – questo incoraggiamento
dell’apostolo delle genti mi ha fatto riflettere assai su una cosa cardinale nella
mia vocazione. Ossia, se lascio lo Spirito Santo agire in me e attraverso di
me, allora sarò come un edificio che riposa sopra fondamenta sicure. Lo Spirito
di Gesù mi farà incrollabile in ogni senso. Perché quando lo Spirito di Dio
opera c’è veramente la ricchezza, l’intensità, la fortezza, l’umiltà, la
saggezza, insomma la vera vicinanza di cui Papa Francesco parla spesso nei suoi
discorsi. Se lascio lo Spirito di Dio operare in me allora il regno di Dio si
allarga ed estende ovunque.
E
se lo Spirito di Dio vive in me perché mi devo essere scoraggiato e stancato?
Dopo di tutto non ho in me quella forza necessaria per fare il bene a tutti? E
questa forza non è la fede in Gesù che mi dà quella tale perseveranza zelante
per continuare a operare nel vastissimo campo del Signore? Proprio in quel momento
mi è venuto questo bellissimo pensiero in mente e cuore: “Se fatico in comunione col
Signore e per lo stabilimento del suo regno non farò mai un opera vana. Perché se
semino con Gesù trionferò con lui,
avrò il suo coronamento, e parteciperò alla sua gloria e beatitudine eterna da
questo mondo”. Ovviamente, non da
solo. Ma sempre in e con la famiglia credente! Che mi sostiene e mi insegna.
Questa
esperienza mi ha aiutato ad apprezzare ampiamente quello che dice l’esortazione
apostolica post-sinodale sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e
nel mondo, Vita Consacrata, sul tema della perseveranza: “Questo invito è, innanzitutto, un appello alla perseveranza nel cammino
di santità attraverso le difficoltà
materiali e spirituali che segnano le vicende quotidiane” (n. 37). In
questo documento basico per la giusta lettura della vita consacrata nel suo
cammino della storia, la perseveranza implica ricevere umilmente e con grande
gratitudine ogni aiuto nella crescita umana e religiosa. “Nessuno può esimersi dall’applicarsi alla propria crescita umana e
religiosa; così come nessuno può presumere di sé e gestire la propria vita con
autosufficienza. Nessuna fase della vita
può considerarsi tanto sicura e fervorosa da escludere l’opportunità di
specifiche attenzioni per garantire la perseveranza nella fedeltà, così come
non esiste età che possa vedere esaurita la maturazione della persona” (n. 69).
In
fine, questa esperienza mi ha reso più sensibile del fatto che la liturgia
stessa è veramente una scuola di crescita nel senso più ampio della parola. Non
è per caso che il Pontefice Argentino nell’udienza generale del 10 gennaio di
questo anno nota così: “Nel Rito Romano
le orazioni sono concise ma ricche di
significato: si possono fare tante belle meditazioni su queste orazioni. Tanto
belle! Tornare a meditarne i testi, anche
fuori della Messa, può aiutarci ad apprendere come rivolgerci a Dio, cosa chiedere, quali parole usare. Possa la liturgia
diventare per tutti noi una vera scuola
di preghiera”. È vero! Perché nella mia esperienza indubbiamente lo è
stato! Dunque, la prima volta che mi affatico prego questa preghierina:
Signore, la mia fatica non è vana in te. Quando vi sentirete affaticati volete pregarla
con me?
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