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 lunedì 5 febbraio 2018

MALTA

La vostra fatica non è vana nel Signore

di Fra Mario Attard


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Era il venerdì, 2 febbraio, la Festa della Presentazione di Gesù al Tempio, o comunemente conosciuta come la Festa della Candelora. La stessa data ci ricorda anche la Giornata mondiale della vita consacrata. Alla mattina, esattamente alle ore 08.30 del mattino, celebrò la messa funebre di un membro scomparso della nostra famiglia parrocchiale. Quando vengo al convento dall’ospedale, dove lavoro giorno e notte, mi piace tanto dare il mio piccolo contributo in parrocchia, specialmente nel celebrare e gustare la messa col popolo di Dio. Come ha ben ribadito Papa Francesco quando ha ricevuto in udienza i partecipanti al Convegno organizzato dalla Congregazione per il Clero in occasione del 50° Anniversario dei decreti conciliari Optatam Totius e il Presbyterorum ordinis, nel 20 novembre 2015: “Si diventa preti per stare in mezzo alla gente: la vicinanza... Il bene che i preti possono fare nasce soprattutto dalla loro vicinanza e da un tenero amore per le persone. Non sono filantropi o funzionari, i preti sono padri e fratelli. La paternità di un sacerdote fa tanto bene”.

Ma anche il prete, come il padre e il fratello in famiglia, ha tanto bisogno di una buona parola. Vale a dire ha la necessità della vicinanza del Padre Celeste lui stesso. Allora, anche il prete ha l’esigenza di ascoltare quella parola che lo porta più in più nel profondo e la bellezza della sua vocazione e missione. Personalmente, parlando la parola che mi fatto un oceano di bene in quella messa mattutina è stata quella pronunciata nella prima lettura, estratta dalla Prima Lettera ai Corinzi: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15,8).

A me, “un semplice lavoratore nella vigna del Signore” – come si definì Papa Benedetto XVI, dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro – questo incoraggiamento dell’apostolo delle genti mi ha fatto riflettere assai su una cosa cardinale nella mia vocazione. Ossia, se lascio lo Spirito Santo agire in me e attraverso di me, allora sarò come un edificio che riposa sopra fondamenta sicure. Lo Spirito di Gesù mi farà incrollabile in ogni senso. Perché quando lo Spirito di Dio opera c’è veramente la ricchezza, l’intensità, la fortezza, l’umiltà, la saggezza, insomma la vera vicinanza di cui Papa Francesco parla spesso nei suoi discorsi. Se lascio lo Spirito di Dio operare in me allora il regno di Dio si allarga ed estende ovunque.

E se lo Spirito di Dio vive in me perché mi devo essere scoraggiato e stancato? Dopo di tutto non ho in me quella forza necessaria per fare il bene a tutti? E questa forza non è la fede in Gesù che mi dà quella tale perseveranza zelante per continuare a operare nel vastissimo campo del Signore? Proprio in quel momento mi è venuto questo bellissimo pensiero in mente e cuore: “Se fatico in comunione col Signore e per lo stabilimento del suo regno non farò mai un opera vana. Perché se semino con Gesù trionferò con lui, avrò il suo coronamento, e parteciperò alla sua gloria e beatitudine eterna da questo mondo”. Ovviamente, non da solo. Ma sempre in e con la famiglia credente! Che mi sostiene e mi insegna.

Questa esperienza mi ha aiutato ad apprezzare ampiamente quello che dice l’esortazione apostolica post-sinodale sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, Vita Consacrata, sul tema della perseveranza:Questo invito è, innanzitutto, un appello alla perseveranza nel cammino di santità attraverso le difficoltà materiali e spirituali che segnano le vicende quotidiane” (n. 37). In questo documento basico per la giusta lettura della vita consacrata nel suo cammino della storia, la perseveranza implica ricevere umilmente e con grande gratitudine ogni aiuto nella crescita umana e religiosa. “Nessuno può esimersi dall’applicarsi alla propria crescita umana e religiosa; così come nessuno può presumere di sé e gestire la propria vita con autosufficienza. Nessuna fase della vita può considerarsi tanto sicura e fervorosa da escludere l’opportunità di specifiche attenzioni per garantire la perseveranza nella fedeltà, così come non esiste età che possa vedere esaurita la maturazione della persona” (n. 69).

In fine, questa esperienza mi ha reso più sensibile del fatto che la liturgia stessa è veramente una scuola di crescita nel senso più ampio della parola. Non è per caso che il Pontefice Argentino nell’udienza generale del 10 gennaio di questo anno nota così: “Nel Rito Romano le orazioni sono concise ma ricche di significato: si possono fare tante belle meditazioni su queste orazioni. Tanto belle! Tornare a meditarne i testi, anche fuori della Messa, può aiutarci ad apprendere come rivolgerci a Dio, cosa chiedere, quali parole usare. Possa la liturgia diventare per tutti noi una vera scuola di preghiera”. È vero! Perché nella mia esperienza indubbiamente lo è stato! Dunque, la prima volta che mi affatico prego questa preghierina: Signore, la mia fatica non è vana in te. Quando vi sentirete affaticati volete pregarla con me?


 


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