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 martedì 16 gennaio 2018

MESSINA

Demolizione dei ruderi dello storico “Quartiere Avignone”

di Alfonso Saya


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Non è un caso che il progetto babilonese del grattacielo di venti piani sia incorso nelle ire ricorrenti, ma stavolta benedette, del prof. Vittorio Sgarbi, assessore ai beni culturali della Regione Siciliana. Già il nome della torre che si vorrebbe chiamare “Torre Imperiale” è un calco dall’immaginazione genuflessa al modello americano, su cui si arrampicò King Kong, l’Empire State Building! Nell’indifferenza colpevole, o programmata, in questi giorni le ruspe hanno abbattuto alcuni resti settecenteschi, per far posto – scusate, ma non mi sovviene parola più adatta – al mostro. Già qualche anno fa si è lasciato abbattere il gigantesco eucalipto; adesso tutto questo rimane solo nel Museo di Sant’Antonio, mentre fino a poco tempo fa era testimonianza vivente del Quartiere Avignone nel pieno della Città.

Con l’abbattimento dei ruderi del famoso “Quartiere Avignone”, si vuole dare avvio, con la costruzione della “Torre imperiale”, alla Messina del Secondo Millennio, che avrà uno sviluppo “verticale” per obbedire ai dettami dell’architettura contemporanea, il cui gigantismo è così definito dal teorico dell’architettura Nikos Salingaros: “Fattore disumanizzante e aggressione deliberata ai nostri sensi, che usa il meccanismo percettivo, per generare ansietà fisica ed angoscia”. Si dice che questo non è che l’inizio, infatti, si parla di “progetto pilota”, ahinoi, e si tratterebbe di un intervento di recupero e riqualificazione urbana della Città dello Stretto, che per quanto mi riguarda è un progetto squalificante piuttosto, come tanti palazzoni costruiti a partire dagli anni sessanta, parallelepipedi senza alcun significato. Non si capisce, però, quale sia il nesso tra sviluppo verticale e intervento di recupero. Non si recupera un fico secco, ma s’inserisce un pezzo di Dubai o Kuala Lumpur a Messina, distruggendone l’identità, per quel che ne rimane.

Norimberga fu totalmente distrutta dagli alleati, ma è stata totalmente e fedelmente ricostruita. Quello è recupero! Cosa dovrebbe recuperare un mostruoso grattacielo di 22 piani di tipo babilonese, nel centro cittadino? Questo è un mistero che sinora, non ci è dato conoscere! Per poter recuperare il Patrimonio storico e artistico messinese, non credo, assolutamente, sia necessario costruire grattacieli e sfigurare l’identità, già martoriata, della nostra Città, quindi, non è necessario costruire la “Torre” di babele. Non molti sanno che il papà dei grattacieli è un tal Philip Jhonson, non a caso un nazista, il quale dichiarava apertamente: “non esiste, né il buono, né il bello, né il vero…” e si vede... questa è la filosofia dei grattacieli.

In tal caso, non si dovrebbe chiamare, pomposamente, “imperiale”, ma se del caso “Sant’Annibale Maria Di Francia” sempre che il Santo non se ne abbia a male, credo che non avrebbe voluto associare il suo nome a una costruzione di questo tipo. Ma almeno in tal modo, avrebbe, così, una valenza simbolica e anche esorcizzante, perché dedicata al “Gigante della Carità”, il Padre degli orfani e dei poveri, chiamato, con tanta venerazione dal popolo, PATRI FRANCIA. Quei “Ruderi” del 1700, erano delle “Reliquie” di quello che fu il famoso Quartiere Avignone, bonificato dal nostro grande Santo concittadino. Quella facciata che si vuole restaurare per farne una “quinta monumentale” per l’ingresso alla “Torre”, si noti che i grattacieli, si chiamano adesso Torre, sono ritornati alle loro origini asiatiche, ma non hanno nulla a che fare con la nostra tradizione e con la nostra Città.

Questo progetto non a caso ha utilizzato l’incuria cittadina per spazzare i resti che le ruspe hanno definitivamente abbattuto. Nasconde un’idea non a misura d’uomo, che riduce, rattrappisce gli essere umani a formiche. Ma Messina non è Dubai, ha una storia. Dobbiamo chiederci allora: “Che significato ha questa Città?”. E l’Amministrazione casca dal pero… eppure la sentenza di merito del Tar sulla licenza a costruire dava il termine di un anno per l’inizio dei lavori, la sentenza è del 2015!


 


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