TEATRO DI MESSINA
Messina – L’anniversario del terremoto del 1908 è di scena
di Tiziana Santoro
In
occasione dell’anniversario del maremoto del 1908 che distrusse la Città di
Messina, l’Associazione “Guide Turistiche Eolie Messina Taormina”, in
collaborazione con l’Ente Teatro di Messina, ha promosso una giornata dedicata
alla riscoperta del Teatro Vittorio Emanuele dal titolo “Guida all’inedito.
Viaggio alla scoperta del Teatro di Messina”.Guide
esperte hanno ideato un percorso che, a partire dall’osservazione della
facciata e degli spazi prospicienti l’ingresso della struttura, cuce un iter
culturale attraverso digressioni storiche per ricostruire la frammentata e
discussa identità della Città dello Stretto, contraddistinta da diverse
dominazioni storiche e fulcro di differenti culture. Prima di accedere all’interno
della struttura, ciò che colpisce i visitatori è l’istallazione “L’abbraccio
dell’angelo” di recentissima ideazione e il tondo marmoreo del 2008. Quest’ultimo,
è un mosaico dal diametro di 4 metri, che riproduce la pianta della Città
secondo il piano di ricostruzione Borzì. Per la realizzazione, sono stati usati
marmi pregiati provenienti da diversi territori della Sicilia. Il granito azzurro
è stato scelto per rappresentare il mare, la pietra gialla di Mistretta, il
basalto scuro dell’Etna, la pietra locale di San Marco d’Alunzio danno corpo
agli edifici presenti sulla pianta.Più
imponente, si erge il Teatro Vittorio Emanuele. La struttura, sorta su una
sorgiva nel lontano 1838 per volontà di Ferdinando II di Borbone e in onore
della madre Maria Isabella, successivamente, ha subito danni strutturali di
lieve entità a causa del terremoto del 1908. L’architettura e il volume,
rimasti miracolosamente intatti, hanno subito solo qualche danneggiamento
dovuto al crollo degli edifici adiacenti. Il soffitto, sfondato e pericolante,
è stato definitivamente ferito dall’esplosione di una bomba durante il secondo
conflitto mondiale. I maggiori danni al teatro, dedicato al re Vittorio
Emanuele solo all’indomani dell’unità d’Italia, sono, dunque, postumi e in
buona parte dovuti ad azioni di sciacallaggio e all’incuria dell’amministrazione
municipale.
Il
progetto originario era stato affidato dal toscano Antonio Niccolini,
architetto del Teatro San Carlo di Napoli, al napoletano Pietro Valente, che
realizzò una struttura polivalente. Il Teatro Vittorio Emanuele, come il San
Carlo di Napoli, presenta un impianto centrale a ferro di cavallo, 5 ordini di
palchi ed è circondato a livelli diversi da sale. In origine, ciascuno spazio
presentava funzioni diverse, in cui la ricca borghesia mercantile ostentava
potere e amava rappresentare se stessa. Prima ancora che Wagner dettasse le
regole dell’ascolto concentrato, la borghesia si incontrava in teatro per
gustare il sorbetto, discutere, danzare, dare ricevimenti. Accadeva che i
cantanti interrompessero le rappresentazioni con assoli da virtuosi, per
strappare un applauso al pubblico distratto.
L’attuale
Sala Mostre era un “appartamento a uso trattoria”, il foyer era considerato un “appartamento
di compagnia”. Nei locali del teatro, erano previsti anche la Borsa di
Commercio, il Casino della borsa, il Gabinetto di lettura, la Sala del biliardo
e del ristoro. Ogni ambiente godeva di un accesso esterno e autonomo. Ancora
oggi, il teatro esternamente si configura come una struttura dal corpo
avanzato, con un portico di tre arcate, di gusto neoclassico e che s’innalza su
tre piani; tuttavia, non ha conservato la struttura interna tipica dei “teatri
all’italiana”. L’elevazione centrale dell’attico, dove in principio vi era un
grande orologio, presenta il complesso marmoreo realizzato dallo scultore
messinese Saro Zagari e denominato “Tempo che scopre la verità”.
Il
tempo è rappresentato da una figura alata che reca in mano una clessidra e
scopre la verità. Fa parte del complesso anche una statua che rappresenta la Città
di Messina mentre si appresta ad abbracciare la verità. All’interno del foyer –
rivela la guida – è difficile distinguere gli stucchi e le decorazioni
originarie dalle ricostruzioni, certamente originario è il decoro floreale
annerito dallo scoppio di un ordigno bellico. Le erme autentiche e di neoclassica
bellezza, invece, potrebbero essere proprietà privata di “ignoti” cittadini.Durante
il percorso, i visitatori sono stati attratti dall’esposizione di anfore dell’età
del bronzo, rinvenute nell’area che ospita la Casa dello studente negli anni ‘90
ed esposte in occasione di una mostra nel ‘97; attualmente, sono ancora
conservate presso il Teatro Vittorio Emanuele per testimoniare le radici della Città.
Le anfore, di diversa tipologia e imboccatura, non riproducono uno standard
preciso, ma rammentano l’antica usanza di seppellire i defunti e preservarli
dagli agenti atmosferici.
Prima
di congedare i visitatori, la guida si è soffermata a descrivere il soffitto
composto da pannelli dipinti da Renato Guttuso. Oggetto della rappresentazione
è la leggenda di Colapesce: pescatore e creatura un po’ umana, un po’ marina
capace di immergersi a notevole profondità. Si narra che Federico II ne mise
più volte alla prova l’abilità e che il povero Colapesce non sia più riemerso
in superficie. A qualcuno, piace pensare che il pescatore si sia trattenuto
negli abissi per sorreggere la Sicilia e per impedire che si inabissasse. Altri
pensano, invece, che Colapesce sia ancora alla ricerca dell’anello di smeraldo
gettato da Federico II. Il racconto popolare si fonde con l’esperienza
autobiografica del pittore, che nei volti delle sirene ha raffigurato la moglie
defunta e la nota amante Marta Marzotto.
A
questo punto della visita, prima dei consueti ringraziamenti e del congedo, la
guida e i visitatori si sono intrattenuti brevemente per rammentare diverse
versioni della leggenda della fata Morgana e della sua presenza e influenza sui
fenomeni dello Stretto di Messina. Portatrice di nebbia per alcuni, artefice di
fenomeni ottici per altri, questa figura è forse la più rappresentativa della
fascinazione che lo Stretto esercita ancora oggi.
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