Il mobbing è
una forma di terrorismo psicologico esercitato, con intenzione di lesività, sul
luogo di lavoro, in maniera sistematica e reiterata da una o più persone allo
scopo di isolare, emarginare ed espellere il soggetto ritenuto “scomodo”.
Conosciamo
diverse tipologie di mobbing, quali:
Mobbing
orizzontale: la condotta mobbizzante è posta in essere dai colleghi;
Mobbing
verticale: le vessazioni derivano dai superiori gerarchici;
Mobbing
ascendente: più raramente, è finalizzato a mettere in discussione l’autorità di
un superiore;
Doppio mobbing:
si ha quando il mobbizzato riversa in famiglia tutti i problemi e le ansie
accumulate a lavoro e mobbizza i componenti della sua famiglia con la
conseguenza, quasi certa, di una crisi familiare;
Bossing: si ha
quando il mobbing è voluto e pianificato dall’azienda per eliminare un
dipendente scomodo;
Mobbing
sessuale: si ha quando il comportamento vessatorio ha sfondo sessuale, è, però,
una cosa diversa dalle molestie sessuali, non è mirato a possedere,
sessualmente, la vittima, ma ad escluderla;
Mobbing
strategico o pianificato: l’azienda, con azione programmata e premeditata,
intende effettuare un ridimensionamento o un ringiovanimento degli organici;
Mobbing
emozionale o relazionale: Sensu strictu:
deriva da un’eccessiva esaltazione di sentimenti di rivalità, gelosia,
diffidenza tra colleghi;
Mobbing senza
intenzionalità dichiarata: caratterizzato dalla presenza all’interno dell’azienda
di sentimenti di conflitto, tali da portare i colleghi a tutelare la propria
posizione gerarchica, considerata in pericolo.
Diversi possono
essere i disturbi fisici da esso causati, come eruzioni cutanee, abbassamento
delle difese immunitarie, disturbi tiroidei, cardiaci, gastrici e digestivi,
intestinali, della sfera sessuale e dolori osteo-articolari.
Oltre a quelli
psichici, come, manifestazioni pisco-somatiche, agitazione ed irrequietezza,
sindromi ansiose, depressione con fissazioni sul problema, abuso nei consumi di
caffè, sigarette, analgesici, alcol, oltre a disturbi comportamentali ed
alterazioni della personalità, che in alcuni casi inducono al suicidio.
Provoca seri
danni alla professionalità in senso soggettivo: “vulnus” alla dignità e alla
personalità del lavoratore determina un risarcimento, indipendentemente, dall’esistenza
di un danno patrimoniale.
In senso oggettivo: pregiudizio, a carattere patrimoniale, alle occasioni, alle
chances di progressione di carriera o di migliore collocazione.
Danni morali,
come sofferenza, collegata alle lesioni dell’integrità psico-fisica, come
patema d’animo connesso ai vari trattamenti cui viene sottoposta la vittima in
seguito all’evento lesivo, come offesa alla dignità, alla reputazione, all’identità
personale ed al turbamento dell’esistenza.
Danno biologico, consistente nella “menomazione dell’integrità psico-fisica
della persona in sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta
la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a
produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti
al soggetto nel suo ambiente di vita e aventi rilevanza, non solo economica, ma,
anche, biologica, sociale, culturale ed estetica”.
A tutela del
lavoratore ricordiamo art. 2; 32; 35; 41 della Costituzione Italiana – Dichiarazione
universale dei Diritti dell’uomo (New York, 1948); Convenzione Europea per la
salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (Roma 1950); Carta
sociale Europea (Torino, 1961); Carta Comunitaria dei Diritti Fondamentali dei
Lavoratori (Strasburgo, 1989); Carta di Nizza (Nizza, 2000); Risoluzione del
Parlamento Europeo (settembre 2001).
Concludo con una citazione:
“Nulla è, così, insopportabile all’uomo come essere in pieno riposo.. senza
faccende, senza svaghi, senza occupazione. Egli sente, allora, la sua nullità,
il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il
proprio vuoto”.