In
risposta alle tante sciocchezze innovative e rivestite di “modernità”, di “laicità”,
di apparente rispetto delle diverse religiosità che hanno portato a modificare
anche il nome del Natale, denominata “festa della luce”, il neo presidente
della Regione Siciliana, Nello Musumeci, inaugurando il presepe artistico al
Palazzo d’Orleans, allestito dai maestri di Caltagirone, Salvatore Milazzo e
Michele Zavatti eri, ha detto con chiarezza e ferma convinzione: “Spero tanto che in ogni scuola dell’Isola
possa essere allestito un presepe. Lo ritengo un utile momento di
partecipazione e di creatività, ma anche un modo per raccontare il senso della
famiglia in una stagione di grande smarrimento, a prescindere dal doveroso
rispetto per ogni credo religioso”.
Anche
l’assessore alla Pubblica istruzione, Roberto Lagalla, ha dichiarato che “la presenza del presepe nelle scuole serve a
valorizzare un simbolo della nostra tradizione che, in un momento sociale così
complesso e difficile, può contribuire a rafforzare l’identità culturale della
nostra terra”. Dalla terra di Sicilia, giunge una lezione di vera civiltà e
di rispetto della storia e della religiosità che si alimenta anche di tradizione
e di folclore. La modernità consumistica ha trasformato il senso della festa
che ha il suo focus e nella
centralità dell’umile grotta di Betlemme, ha fatto perdere il vero senso del
Natale, che è “dono- pace- armonia”, e ha reso i corollari minori: i regali, la
cena, il pranzo, il gioco più importanti della vera festa religiosa ancor prima
che civile. Rileggendo una poesia di Trilussa si recupera il senso del presepe
che diventa occasione e stimolo di riflessione.
Ma
che li fate a fa’ sti presepi? Si poi v’odiate,
si
de st’amore non capite gnente...
La
gente fa er presepe e nun me sente;
cerca
sempre de fallo più sfarzoso,
però
cià er core freddo e indifferente
e
nun capisce che senza l’amore
è
cianfrusaja che nun cià valore.
Fare
il presepe a scuola o nei luoghi pubblici trasmette il senso vero della festa e
dà centralità al “festeggiato” nel ricordo della sua nascita. “Se togliamo Gesù, cosa resta del Natale?”,
ha detto Papa Francesco benedicendo i bambinelli dei ragazzi in Piazza San
Pietro. Il rispetto della laicità non deve soffocare la manifestazione esterna
di una tradizione e di una prassi carica di valori simbolici, ancorati alla
radice della storia millenaria del Paese. Al leader della comunità islamica di
Pordenone, Iman Mohamed Hosny, che suggerisce “a scuola, meglio l’albero che è per tutti” o a quei dirigenti
scolastici che in diversi parti d’Italia alzano la bandiera della “falsa
laicità” si potrà rispondere che il Natale è una festa cristiana, come ha
affermato uno dei principi della laicità, Benedetto Croce, in un suo grande
saggio dal titolo emblematico “Non
possiamo non definirci cristiani, i valori del cristianesimo hanno fecondato la
cultura, la letteratura, la musica e l’arte del nostro mondo e ancora oggi tali
valori costituiscono un prezioso patrimonio da conservare e trasmettere alle
future generazioni così da consentire ai bambini di vivere il Natale nella sua
autenticità”.
Cancellare
il presepe, con tutte le iniziative, canti, recite, manifestazioni di
solidarietà, significherebbe cancellare la nostra identità. Ben venga una
scuola interculturale, ma colpire gli emblemi del Natale non garantisce il
rispetto di alcunché, non produce una scuola e una società accoglienti e
inclusive. I simboli della nostra Fede e della nostra Tradizione, come quello
del Presepe, non discriminano nessuno. È inconcepibile eliminare dalla scuola i
riferimenti di una delle più importanti festività cristiane: così, non si
rispetta il credo religioso della maggioranza delle persone che, comunque,
hanno il loro riferimento nella fede cristiana.
Costruire
insieme il presepe, in accordo con i genitori degli alunni, può costituire,
inoltre, un’occasione preziosa per sviluppare rapporti significativi e profondi
di conoscenza e di cooperazione tra la scuola e la famiglia. Il presepe è
elemento fondante della nostra tradizione storica e artistica, oltre che
immagine legata alla religione cattolica. Esso si presta a una serie di letture
a più livelli; una fra queste è il constatare come la processione di adulti di
diversa provenienza, dalla diversa storia, dalla diversa estrazione sociale,
dalla diversa ideologia e cultura che si muove e si dirige verso un bimbo che
nasce, è un moto corale che all’unisono costituisce un inno universale alla
vita e all’infanzia. È questo un vero e incisivo messaggio che la scuola
multietnica e inclusiva possa dare.