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 lunedì 23 gennaio 2012

DUE PERIODI A CONFRONTO

FEBBRAIO 1956 – GENNAIO 2012

di Mariagrazia Tripodo


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Dopo, oltre, 50 anni la Sicilia rivive lo “sciopero alla rovescia”.

Il 2 febbraio 1956, Danilo Dolci, triestino d’origine, ma siciliano nel cuore, mostrava al mondo intero, con lo “sciopero alla rovescia”, le facce più tristi della Sicilia.

La facce della disoccupazione, dell’incuria, da parte dello Stato, della fame e della povertà, si erano “armate” di vanghe e picconi per reclamare il sacrosanto diritto al lavoro, Diritto, nonché, Dovere, espressamente, dichiarato nell’art. 4 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Centinaia di disoccupati si ritrovarono, di buon mattino, a lavorare nella trazzera vecchia, strada comunale nei pressi di Partinico, abbandonata all’incuria dell’amministrazione locale. Intervennero le forze dell’ordine e arrestarono Danilo Dolci per occupazione del suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale.

La storia della Sicilia vivrà, ma pochi siciliani lo ricordano. Intorno allo sciopero alla rovescia un fermento di notevole peso culturale, politico e popolare ed il processo a Danilo Dolci sarà, da egli stesso, definito “Processo all’art. 4”.

Gennaio 2012: la storia con il “Movimento dei Forconi”, del gennaio 2012, e dei lavoratori Servirail di Messina, sembra ripetersi.

Dopo, oltre, cinquant’anni vengono mostrate le stesse facce che reclamano lo stesso Diritto.

Seppure le motivazioni siano diverse, ma pur, sempre, legate al sopracitato Diritto, i luoghi e la voglia di farsi sentire non cambiano.

Come un déjà vu i cartelli dei manifestanti riportano gli stessi slogan, le interviste sono appassionate, sui volti dei disperati gli occhi brillano, perché rispecchiano quella sana soddisfazione di essere generatori di “movimento culturale”, anche, se autotrasportatori, gente semplice.

La stessa gente semplice di Partinico del 1956: contadini, pescatori, Siciliani che analizzando il problema, in piena consapevolezza, decidevano di ribellarsi con forme di protesta “nonviolenta”.

La storia si ripete: le facce della Sicilia sono rimaste le stesse e la “cosa” pubblica.. non risponde.

L’unica risposta è quella dell’opinione “facebookiana” (ahimè, non pubblica) che, affetta da “panico da scaffale vuoto”, partecipa tra un “Mi piace” condiviso e un “Non mi piace”, per chi “ci ha lasciato a piedi”.

Noi cittadini siciliani riusciremo a dare un valore positivo a questo momento di fermento che, sembra certo, si prolungherà ancora un po’.

Alla gente semplice basta partecipare, silenziosamente, alla protesta, senza troppe lamentele, ma cogliendo l’occasione per riscoprire il gusto di camminare a piedi e apprezzare l’essenzialità del frigo vuoto.

Essenzialità che, nel 1956, si chiamava.. povertà.


 


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