I TESORI DELLA CITTÀ DI MESSINA
Gli scavi della Chiesa di San Giacomo: in attesa di decoro
di Lally Famà
Riaffiora dal
sottosuolo uno spaccato della nostra vetusta “Città sotterranea”, ai piedi del
Duomo di Messina, proprio dietro le absidi, che ha riportato alla luce
un’importante opera, la stessa porta il nome di Chiesa di S. Giacomo. Risalente
al periodo medievale (la datazione è riconducibile, con larga approssimazione,
all’interno del XIII Secolo) non presenta grandi dimensioni e, nel periodo
succitato, fu famosa tra i Messinesi per la presenza dell’immagine della
“Madonna dell’Indirizzo”. Importante punto di devozione, si narra che
custodisse la Madonna Odigitria (dal greco antico ὸδηγήτρια, colei che
istruisce, che mostra la direzione) e che fu trasferita, verso l’anno 1330,
dalla sede originaria del Duomo in S. Giacomo per volontà di monsignor Guidotto,
l’arcivescovo di Messina dell’epoca. È ovvio che nessuno di noi ha avuto mai la
fortuna di poter conoscere Messina com’era un tempo, ma la città era davvero
bella con i suoi antichi monumenti e vecchi palazzi, con i suoi portici che si
muovevano dalla statua del Nettuno lungo la litoranea, e tanto, ma tanto altro
ancora.
Messina fu ricostruita, dopo il disastroso terremoto dell’8 dicembre
1908, 3 metri sopra il livello del mare, proprio per garantire una maggiore
sicurezza ai cittadini, motivo per cui essa giace ancora sotto i nostri piedi. Solo
durante alcuni lavori di scavo di qualche anno fa (campagne di scavo 2000 e
2005), allestiti per eliminare la presenza di acqua piovana che si raccoglieva
nella parte posteriore del duomo, fu rinvenuto l’antico costrutto medievale. La
chiesetta, dopo il terremoto su menzionato, non aveva mai più veduto la luce e,
dall’inizio dei lavori suddetti, ormai sono trascorsi già diversi anni, tutto
risulta, a tutt’oggi, visibilmente abbandonato e dimenticato e, sicuramente, lo
stesso meriterebbe più visibilità. I lavori di scavo non sono mai stati portati
a giusto termine. Così gran parte di resti normanni se ne rimangono ancora
sepolti e tutto appare ricoperto, costantemente, da “erbacce”.
Quasi a monte
del ritrovamento sorge una “fontana” che, a causa dei lavori di scavo è stata
prima spostata, successivamente re-interrata e, quindi, mai più esposta come
tale. La stessa è la gemella della vicina “fontana dei quattro cavallucci”,
sita anch’essa in largo San Giacomo. Le due vasche in marmo bianco facevano
parte del complesso monumentale dell’antica piazza di Santa Maria La Porta,
oggi scomparsa (attuale largo Seguenza). All’origine le fontane erano quattro
identiche e disposte una di fronte all’altra. Nella parte superiore v’era una
statua in marmo raffigurante un putto che cavalcava un cavallo marino. Le
stesse furono scolpite dal catanese Giovan Battista Marino su disegno di
Gaetano Ungaro. Da qui il nome popolare “fontane di quattru cavadduzzi”.
La Chiesa
si trovava in un quartiere importante della città di allora, tra “Amalfitania”
e “Tarsianato”, essa apparteneva alla contrada di Castellammare, che prendeva
il nome dalla Chiesa di Santa Maria Annunziata (di Castellammare), oggi Chiesa
dei Catalani. Nella stradina adiacente il duomo (largo S. Giacomo) vi scorreva
un fiume (dall’omonimo nome), dove finivano spesso i rifiuti dei cittadini del
tempo, il cui tratto era, con ogni probabilità, una diramazione del Portalegni
(attuale via Tommaso Cannizzaro), nel 1548 deviato verso Maregrosso. Da lungo
tempo, ormai, i cittadini, anche con petizioni popolari, si battono (per il
momento, invano!) per la riqualificazione del sito, con la speranza che lo
stesso possa, finalmente, apparire, anche agli occhi del turista, un fiore
all’occhiello di quella vetusta e, quasi, dimenticata Messina.
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