mercoledì 11 gennaio 2012
FORZE ARMATE
PORDENONE-HERAT E RITORNO – CON I BAMBINI AFGANI NEL CUORE
di Redazione
4 giorni nei territori di guerra, per una
missione di pace, vissuti, intensamente, e raccontati dal colonnello
dell’Esercito Italiano, Andrea Santarossa
“27
dicembre 2011 – Percorriamo la prima tappa Pordenone-Fiumicino. Nell’aeroporto
romano ci incontriamo con Ugo Cappellacci, governatore della Sardegna,
Antonello Lai, giornalista, ed una mia vecchia conoscenza, il primo comandante sardo della ‘Brigata Sassari’, generale Nicolò Manca. Il presidente
della provincia di Pordenone, Alessandro Ciriani, il vice, Eligio Grizzo e io c’imbarchiamo, insieme a 150 soldati della ‘Sassari’ e i tre amici
sardi, su un airbus di Meridiana diretto ad Abu Dhabi.
Dopo
sette ore di volo, facciamo una sosta di altrettante ore nell’aeroporto
militare di Al Bateen.
28
dicembre (ore 10,00 locali) 2011 – Due C130 dell’Aeronautica militare decollano
verso Herat (altre quattro ore di volo da sconsigliare, caldamente, agli amanti
del confort). Arriviamo alla base di Camp Arena di Herat nel primo pomeriggio.
Temperatura poco sotto lo zero. Immediata conoscenza dei 12-15 chili di
giubbotto antiproiettili, più elmetto. Briefing del generale Portolano,
comandante della Sassari: 8000 uomini di 11 nazioni operano sotto il mio
comando, in un’area vasta quanto l’Italia settentrionale. La ‘Sassari’
costituisce il 51% della forza. Dispongo, inoltre, di altre unità dell’Esercito,
dell’Aeronautica, della Marina, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.
Posso contare sugli elicotteri d’attacco Mangusta del 5° Rigel di Casarsa al
comando del colonnello Livio Ciancarella, sui nostri caccia, sui Mirage
francesi e sui B1 americani. Il teatro operativo del Regional Command West è
tenuto sotto osservazione da un articolato sistema di ricerca e controllo ad
alta, media e bassa quota. L’ambiente operativo è severo! Qui a Camp Arena di
notte è in atto l’oscuramento, perché, più volte, siamo stati bersagliati con bombe
da mortaio e da razzi rpg.
29
dicembre 2011 – Il generale Portolano ha in programma una visita al 151°, nella
base di Bala Murghab, nell’estremo nord del settore, a più di un’ora di
elicottero. Per arrivare laggiù via terra i convogli per i rifornimenti
impiegano 12 giorni! Queste sono le strade e l’orografia dell’Afghanistan.
Vengono impiegati due Blach Hawk americani. Per strada fanno una sosta
lampo per ‘fare benzina’ nella base di Calinav, presidiata dagli spagnoli. I
mitraglieri brandeggiano le armi sporgendosi dai portelloni. All’improvviso,
poco più avanti della formazione amica, un B1 americano s’impenna verso il
cielo. Il generale Portolano comunica che il caccia ha, appena, eliminato un
nucleo di terroristi che ha attaccato una pattuglia italo-afgana in movimento
nell’area di sorvolo. Un soldato afgano è stato ucciso e un altro ferito,
gravemente. Un nostro caporal maggiore del 66° reggimento ‘Trieste’ è
stato salvato dal giubbotto antiproiettile. Il B1 fa un passaggio radente per
monitorare gli effetti del suo intervento: quel nucleo talebano non farà mai
più attentati. Due Mangusta del 5° Rigel vigilano dall’alto che non compaiano
altre presenze ostili. Atterraggio a Bala Murghab. In un avanposto a 10
chilometri da qui è caduto Luca Sanna, di Samugheo. Il colonnello Viel,
comandante del 151°, col suo staff, accoglie gli ospiti. L’espressione degli
uomini dice ‘qui è dura; ma siamo contenti che siate venuti a trovarci’. In
realtà, si tratta di un messaggio più complesso e intenso che, però, solo chi è
sul posto può cogliere. Briefing, visita alla base, incontro con il personale
del reparto: un grazie da parte dei soldati per essere venuti fin qui in questi giorni di festa. Poi di nuovo in volo. Si sorvolano spazi immensi,
minuscoli villaggi e rade greggi: non si capisce come facciano a sopravvivere
gli uni e le altre. La sera, ad Herat, visita al PRT gestito dal 3°reggimento
bersaglieri di Teulada. Alcuni mesi fa un’autobomba ha devastato una parte
della base che si trova in pieno centro abitato: feriti un capitano medico e un
caporal maggiore. Il colonnello Parrotta illustra le competenze del Provincial Reconstruction Team e riepiloga quanto è stato già
realizzato a favore del popolo afgano: pozzi, piccoli ponti, scuole, aeroporto
civile di Herat, ed altro. Più tardi, visita al governatore della provincia di
Herat. Le sue profferte di amicizia e di gratitudine verso gli uomini della
Sassari, la Sardegna e l’Italia sono sincere. Più volte, esprime la sua stima
verso il generale Portolano che ha impresso grande impulso alla missione. Segue
la visita ad un’altra personalità locale che esprime il suo desiderio di venire
in Italia per ringraziare quanti si sono fatti promotori di gesti di
generosità, in particolare, verso i genitori di un volontario morto in
Afghanistan: hanno voluto che fosse edificata una scuola nel punto dove il loro
figlio è stato ucciso. ‘Vogliamo che la nostra amicizia duri, anche, quando non
ci sarete più’ - dice il padrone di casa. ‘Vogliamo venire in Italia per
conoscere il vostro popolo e la vostra terra’. Vengono impostati gli accordi
preliminari per fare gemellaggi tra loro e noi. Allocuzioni di apprezzamento da
parte dei presidenti Cappellacci e Ciriani. Al
rientro, a Camp Arena, visita ai feriti del recente agguato. Il giovanissimo
soldato afgano è in coma farmacologico. Ha la testa ingabbiata in una sorta di
cilindro d’acciaio. La sua vita è appesa a un filo. Le schegge di mortaio gli
hanno devastato la scatola cranica, fracassato una mano e, quasi, amputato un
piede. Lo sguardo dell’infermiera americana dice che non ce la farà. Il nostro
volontario, invece, sta bene; una scheggia gli ha colpito il giubbotto
antiproiettile che, a sua volta, ha compresso l’emitorace sinistro. ‘è andata bene’ – gli sussurra il
generale Portolano. ‘Alla grande’ – risponde, con un sorriso forzato, il
volontario abruzzese – ‘mezzo palmo più in alto e..’. In una stanza attigua un
macilento bambino afgano, adagiato su una barella, ci sorride con sofferenza.
Tutti gli facciamo una carezza. Al suo fianco il padre, il viso magrissimo
sotto un grande turbante, si porta una mano sul cuore e accenna un inchino di
saluto. I suoi occhi dicono ‘la vita di mio figlio è nelle vostre mani e in
quelle di Allah’.
Il
30 dicembre, noi tre pordenonesi, accompagnati dai tenente colonnello,
Gianfranco Mecozzi e Stefano Angioni, dal capitano, Luigi De Nicolò, e dal
mitico luogotenente, Roberto Bassi, visitiamo l’area operativa e la linea di
volo del 5° reggimento AVES ‘Rigel’/Task Force Fenice. Inoltre, durante un
breve, ma intenso momento, Alessandro Ciriani ed Eligio Grizzo consegnano un
consistente quantitativo di materiale scolastico per bambini al cappellano
militare della Brigata ‘Sassari’, Don Giammario Piga. Da parte mia, grazie al dott.
Badanai, dell’omonima farmacia di Pordenone, consegno un borsone di farmaci di
base per bambini al capitano medico del 5° Rigel; consegno anche a Don
Giammario una significativa somma di denaro da devolvere a favore di poveri
bambini afghani, consegnatami come dono dal presidente del ‘Lion Club Host’ di
Pordenone, dott. Marco Anzilotti. Il generale Portolano ha voluto esprimere un
forte grazie agli amministratori della provincia di Pordenone e della regione
Sardegna per aver voluto toccare con mano la realtà della dura vita dei nostri
soldati in Afghanistan.
L’ora
di imbarcarsi sui C130 per il rientro si avvicina, rapidamente. Ci
apprestiamo a salire, per l’ultima volta, sulle Toyota blindate che ci
porteranno in aeroporto. 24
ore, ancora, e siamo, nuovamente, verso la rotta di Pordenone”.
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