Mentre
si conclude, in modo non entusiasmante, la battaglia di Montecitorio per i
nuovi trattamenti pensionistici dei parlamentari, emerge il suo carattere di
foglia di fico rispetto al problema di fondo: la moralizzazione della politica,
la lotta concreta alla corruzione pervasiva nella concessione degli appalti
delle opere grandi e piccole, nei concorsi, nei servizi come “Mafia Capitale”
ha mostrato, fuori di ogni dubbio, e che le cronache di malaffare mostrano
giorno per giorno. Tutte le forze politiche si guardano bene dall’affrontare il
nodo centrale della questione costituito dalla mancata disciplina dei partiti
secondo la Costituzione.
Richiede
metodo democratico all’interno, a garanzia dei cittadini che possono
organizzarsi in partiti per concorrere – con metodo democratico appunto – alla
definizione della politica nazionale. Si sono cercate scorciatoie come le
primarie controllate di fatto dagli stessi protagonisti e dalle rispettive
tifoserie con un calo progressivo di partecipazione e un risultato scontato. La
responsabilità di questa grave omissione riguarda tutti con l’aggravante non da
poco per il partito democratico e il suo leader che ha sostituito di fatto la Leopolda,
platea esultante alle esternazioni del leader e all’ulteriore personalizzazione
essenzialmente mediatica. Aggirando il serio problema del finanziamento della
politica escluso demagogicamente alle forze politiche e dirottato ai gruppi
parlamentari che ne dispongono a loro gradimento.
Lo
si è visto con le ultime sentenze sulla Lega ai tempi di Bossi e famiglia,
mentre nessuna disciplina seria è stata approntata per fare luce e regolare,
efficacemente, la materia opaca delle fondazioni. Su questo terreno, se
adeguatamente rappresentato alla pubblica opinione, si mostrerebbe una concreta
testimonianza di un vero impegno di moralizzazione, di una finalizzazione non
retorica dell’impegno politico al bene comune, con trasparenza e garanzia di
controlli adeguati, tanto a livello centrale che periferico. Sono temi che la
nuova sinistra di governo dovrebbe porre al centro della propria agenda insieme
all’atteggiamento di responsabilità nazionale verso il governo Gentiloni e le
sue impegnative scadenze interne e internazionali, europee e mediterranee. Non
servono risentimenti e antipatie, ma analisi severe della realtà e delle sfide.
Pisapia
non può ignorare quello che è accaduto nel Pd con l’uscita del gruppo di
Bersani, il disagio manifestato anche all’interno dello schieramento che l’ha
sostenuto e la domanda di cambiamento che si percepisce anche alla periferia
del partito. Il segretario si ostina a non compiere alcuna analisi critica e
autocritica, a persistere nel suo andare avanti da cavaliere solitario senza
macchia e unico portatore della bandiera del riscatto. Non si capisce perché,
dopo la sconfitta del referendum e la sconfitta elettorale alle amministrative
con una collocazione di oltre due punti dietro ai 5stelle, l’ostinata
riproposizione della linea renziana dovrebbe risultare convincente e vincente
in grado di assicurare un futuro all’attuale Pd.
L’interrogativo
dovrebbe risultare addirittura retorico, in ogni caso ineludibile e Pisapia non
può nascondersi dietro argomentazioni di galateo e di buone maniere che non c’entrano
neppure con i risentimenti da antipatia. Sarebbe grave se si trattasse di una
manfrina per sottrarsi alle responsabilità di costruire un nuovo centrosinistra
di governo, di cui c’è sempre più urgente bisogno in assenza di una strategia
siffatta, si riporterebbe l’Italia sotto l’egemonia del ringalluzzito
Berlusconi che si propone già come il ritrovato salvatore della patria.