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 lunedì 31 ottobre 2016

RECENSIONE

“La Primavera dei Popoli” di Roberto Sciarrone

di Domenico Maria Ardizzone


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La “Primavera dei popoli e la rivoluzione siciliana del 1848”, questo il titolo del nuovo Libro di Roberto Sciarrone per i tipi di Edas Editore. L’autore, ricercatore in storia dell’Europa orientale presso l’Università di Roma “La Sapienza”, porta a termine un lavoro di ricerca d’archivio corposo e ricco di materiale inedito su uno degli eventi risorgimentali di spicco che interessarono l’Europa e, in particolar modo, la Sicilia. Il 1848 fu, per l’Europa, un anno di “rivoluzioni”. La contemporaneità di questi moti li fece apparire, già all’epoca, come movimenti diversi di un unico, grande, processo rivoluzionario. In realtà, le rivoluzioni ebbero svolgimenti e obiettivi diversi, ma furono tutte accomunate dalla forte aspirazione al cambiamento e, di fatto, segnarono la fine della strategia politica concepita a Vienna nel 1815. I moti del 1848 segnarono uno dei momenti più importanti del processo risorgimentale italiano, le varie anime della rivoluzione si saldarono alla battaglia patriottica per ottenere l’indipendenza e l’unità del Paese. L’anno delle grandi rivoluzioni prese avvio a Palermo, in Sicilia, l’Isola viveva da decenni una condizione di profonda insoddisfazione sociale e politica dettata dal malgoverno borbonico e dalla perdita dello status di Regno, deciso al Congresso di Vienna.

L’insurrezione siciliana portò i Borboni a concedere una Costituzione all’Isola e, successivamente, a proclamarne l’indipendenza, tenuta fino a maggio del 1849. La scelta politica borbonica fu seguita da Carlo Alberto di Savoia, Papa Pio IX e da Leopoldo II. La rivoluzione siciliana, scoppiata il 12 gennaio del 1848, fu l’ultima di quattro grandi rivolte che ebbero luogo in Sicilia tra il 1800 e il 1849 contro i Borbone di Napoli. Messina e Palermo furono le Città più coinvolte, luogo di feroci combattimenti, l’assedio della città dello Stretto durò circa nove mesi attraverso un’interminabile sequenza di azioni militari e scontri di diversa portata fino all’episodio clou dell’intera rivoluzione che si concluse con un bombardamento indiscriminato e prolungato su Messina, che susciterà stupore nell’opinione pubblica europea e statunitense. L’autore, già studioso dei sistemi politici internazionali tra XIX e XX secolo, riesce, quindi, a marcare le differenze di carattere storico, politico e sociale nel corso del segmento rivoluzionario che coinvolse la Sicilia e la città di Messina. Ad arricchire la ricerca, inediti documenti d’archivio portati alla luce dal lavoro di ricerca costante dell’autore. Infine, non mancano riferimenti e analisi comparative circa l’attualità europea, i problemi sempre maggiori e le sfide che l’Unione deve affrontare nel corso dei prossimi decenni.

Oggi, a quasi centosessant’anni dagli eventi del 1848, problemi analoghi stringono l’Unione Europea tra paesi in aperto contrasto con le politiche di Bruxelles e altri desiderosi di fare il loro ingresso nel sistema comunitario. È come se l’Europa fosse tornata indietro nel tempo. Tra la fine del medioevo e gli inizi dell’epoca moderna, quando la carta geografica del continente era formata da numerosi Imperi, Regni, Stati e Confederazioni: l’immagine di un mondo, totalmente, frammentato, una condizione cui sembra volgere l’Europa contemporanea. L’Europa, quindi, potrà sopravvivere a se stessa solo se riuscirà a comprendere come legittimarsi nei confronti delle variegate realtà che la compongono, del resto le difese geografiche che hanno protetto il continente nel dopoguerra sono, ormai, friabili. Il grande storico francese Fernand Braudel, in “La Méditerranée et le Monde Méditerranéen a l’époque de Philippe II”, scrisse, nel 1949, che il confine meridionale dell’Europa era il Sahara, non il Mar Mediterraneo. Sessant’anni dopo quelle parole illuminate, osserviamo affluire un fiume di migranti proprio dal Nord Africa verso l’Europa, propriamente detta. Forse, la mappa del continente europeo di oggi è più simile a quella dell’epoca moderna, se non proprio nei confini almeno negli atteggiamenti politici e nelle alleanze. Può l’Unione Europea sperare, quindi, di raccogliere l’eredità multiculturale “positiva” degli imperi che, per secoli, dominarono l’Europa centrale e orientale ospitando i più svariati interessi e minoranze? È la domanda finale a cui cerca di rispondere l’autore del Libro.


 


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