RECENSIONE
Il Dolore, le Ombre, la Magia: il canto armonico di Banana Yoshimoto
di Tiziana Santoro
 La
scrittrice giapponese Banana Yoshimoto in Il
dolore, le ombre, la magia, come un usignolo dal canto armonioso, accarezza
l’anima dei lettori servendosi delle delicate riflessioni di Shizukuishi. La
protagonista è una ragazza cresciuta in montagna che, a causa di un incendio,
ha dovuto lasciare i suoi affetti e la sua dimora per iniziare una nuova vita
in città. Quella di Shizukuishi è la storia di chi attraversa il dolore della
separazione e deve fare i conti con la vita che cambia. Da una condizione di disorientamento,
torpore esistenziale e dolore personale, Shizukuishi approda ad una rinnovata
condizione di armonia, che è conquista consapevole del proprio valore e
riscoperta dell’altro da sé. Intorno a lei, come luci nello spazio cosmico, si
muovono gli altri personaggi: Kataoka giallo intenso (grande e rotondo), Kaede
color lavanda (sensibile e delicato), Shin’ichiro verde chiaro (separato dagli
altri), la nonna color rosso scuro (magica e terrena). Come sfere
incandescenti, le persone simili si sovrappongono, quelle dissimili si
allontanano in un moto perpetuo che è fatto di incontri e separazioni. Come una
pianta Shizuishi perde vitalità lontano dal suo habitat, ma trapiantata in
città nutrirà le sue radici grazie all’amore degli altri e influenzerà, a sua
volta, la vita dei suoi nuovi amici.
Ciascun
incontro lascerà nel cuore della protagonista un insegnamento profondo:
osservando Kaede, imparerà che l’amore per il suo lavoro è il solo modo in cui
gli occhi possono vedere il mondo; Shin’ichiro le rivelerà che la magia è
ovunque e in qualsiasi cosa, se riuscirà a costruire dei ricordi insieme alle
altre persone e se capirà che amare significa sentire che ogni istante è
irripetibile. L’insegnamento della nonna è espresso nella cura con cui, sin da
piccola, la educava ad abbandonarsi al sonno, quando irrigidita si ostinava a
non lasciare andare il giorno che sfumava. Sullo
sfondo si agitano gli abitanti della città: presenze dai contorni sfumati,
fragili e intenti a compiere gesta di resistenza quotidiana, a difendersi dal
cristallizzarsi dei ruoli, a bilanciare strenuamente obiettivi e rischi, drammi
profondi e felicità minime. Nonostante ciò, le persone come “piante vigorose e
magiche” dimostravano di possedere “una forza enorme e arcana, che avrebbe
permesso loro di rinascere sempre: non si consumavano mai”.
La
protagonista imparerà che il dolore apre gli occhi e che “comunque la si voglia
mettere, esiste solo l’oggi e che ogni giorno è diverso dal precedente”. Così
Shizuishi lascerà andare il dolore, la tristezza, la noia ed accetterà il
cambiamento e le separazioni, giacché le persone “esistono solo nell’istante
presente” e sono come i cactus: fioriscono raramente, le puoi fotografare
quanto vuoi, ma finiscono tutte per scomparire. Ciò che rimane è la sua forza
vitale “imbracciare i remi e cominciare a vogare” verso una nuova vita,
propagando nell’universo – come in uno specchio d’acqua – tracce di sé. Il
cactus trapiantato e cresciuto dopo le cure e l’attesa, testimonia che è
possibile rinascere, riappropriarsi della propria vita, evolversi
indipendentemente dagli altri e riprendere a battere le ali. È questo un
incantesimo che si rinnova ogni volta che il dolore fa di noi una persona
migliore.
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