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 venerdì 10 giugno 2016

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Gabriele D’Annunzio, il “Poeta soldato”

di Alfonso Saya


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Nel Centenario della Grande Guerra (1915-1918), è doveroso ricordare l’ultimo dei grandi poeti italiani, Gabriele D’Annunzio che questa guerra l’ha combattuta in cielo, celebre il suo volo su Vienna e sul Carso. Appunto, è stato definito, “Poeta soldato”. È l’ultimo, dicevo, dei grandi poeti italiani. Con lui, “l’Immaginifico” per la sua prodigiosa fantasia e per la sua profonda cultura classica che gli permetteva, lui sì, di creare neologismi, si spegne la grande poesia ed inizia, al dire del Gozzano, “l’aridità larvata di chimere”. Nessun incentivo, come i famosi e scandalosi Premi letterari, costituiti a suon di milioni, dai “mercanti della cultura” , sono riusciti a farla vivere. Sulla grandezza poetica del D’Annunzio, non può esistere alcun dubbio tranne quello avanzato dai faziosi e dai pedanti. Il D’Annunzio fu, un poeta ispirato e di immensa erudizione e di prodigiosa memoria. Lo si rivela dalle sue opere che sono una miniera ricchissima in cui si ritrova di tutto: la Bibbia, i grandi russi, i francesi del secolo XIX, i nostri grandi letterati. Egli, al dire del Croce, leggeva e tutto faceva suo, tutto diveniva suo nutrimento e carne della sua carne ed era sempre e solamente se stesso.

Fu un poeta dalla vena e dal respiro ampio, europeo nonostante fosse l’allievo del Carducci, del poeta, cioè, dalla visione, prevalentemente, patriottica, la sua ispirazione iniziale fu, però, verista e regionale sull’esempio del Verga, del Capuana e della Deledda. È impossibile enucleare l’evoluzione artistica: egli fu lirico, novelliere, scrittore politico, drammaturgo, oratore. La grandezza della sua poesia, risiede in alcune opere perfette ed eccelse che hanno il “crisma” dell’immortalità, sarebbe lungo elencarle. Il Croce riconosce la grandezza del D’Annunzio, nella “Figlia di Iorio”, nell’ “Alcyone”, raggiunge, la più alta vetta della poesia: è il poema del sole, il canto dell’estate. La luce, i colori, i suoni sono tradotti con le parole, “La pioggia nel pineto” ne è un esempio. Il D’Annunzio non è racchiuso nell’ambito letterario. La sua vita è stata un’opera d’arte col suo vivere inimitabile: è stato l’amante indomito, l’avventuriero, il trasvolatore di Vienna con armi di pace, il compagno di Costanzo Ciano e del nostro Luigi Rizzo, il Comandante di Milazzo, l’affondatore a Premuda della Corazzata austriaca “Santo Stefano”, nella Beffa di Buccari, “l’orbo di guerra”, decorato al valor militare, con la Medaglia d’oro, l’ideatore della celebre impresa di Fiume e il legislatore con la “Carta del Carnaro”, l’eroe del cielo e del mare, “il Principe di Montenevoso”, il “Vate”, dopo tante gesta patriottiche, si ritirò in una grande villa sul lago di Garda che egli chiamò il Vittoriale col suo motto, “Io ho quel che ho donato”.

Per questo suo splendido ritiro, fu chiamato “il solitario di Gardone”. Amico di Mussolini, Il Fascismo fece suo il termine incitativo del D’Annunzio, “Eia! Eia! Alala!”, fu nominato Presidente dell’Accademia d’Italia. È stato, insomma, il Poeta inimitabile, “sui generis”, ha illustrato, non si può negare, con la penna e con l’azione, la nostra Patria, “dalle mille vite”, e merita, quindi, l’attenzione e l’omaggio che si tributano ai Geni dell’Umanità.


 


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