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 mercoledì 1 giugno 2016

PROGETTO LETTERARIO

Alessandro Baricco e quella partita della vita giocata sulla scacchiera.

di Tiziana Santoro


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Alessandro Baricco, apprezzato scrittore e autore di opere di successo tra cui “Novecento”, “Castelli di rabbia, “Oceano e mare”, nel 2013 si è lasciato coinvolgere da un Progetto letterario interamente rivolto al suo pubblico. Come lo stesso Baricco ha voluto precisare, l’intento non era quello di fornire un Canone personale, bensì di trasmettere ai lettori, “Una certa idea di mondo”, la sua. Baricco condivide con i lettori le letture più care degli ultimi anni e con tono colloquiale li coinvolge nelle sue riflessioni sulla politica, la società, sul ruolo dell’intellettuale, sulla letteratura, sul talento e sulla bellezza. Il punto di partenza e finanche quello di arrivo è il libro: romanzi, saggi, articoli, fumetti, trattati di filosofia scritti da autori vari, ben cinquanta, che casualmente hanno tenuto compagnia all’autore e sono stati il pretesto per leggere e interpretare il “libro della vita”. È proprio sul senso della vita che, in principio, riflette Baricco per comunicare ai lettori la ricerca di quel significato profondo che concepisce come una “partita a scacchi dura e solitaria”. Secondo l’autore essa richiede un impegno ed un esercizio costanti, per estorcere “la felicità a se stessi”, liberandosi da ogni forma di influenza e contaminazione che possa derivare dall’altro da sé e causare illusione e inganno.

Questa è la premessa di Baricco, una premessa basata sull’onestà intellettuale e sull’impegno in prima persona. Lo scrittore lo ribadisce ancora, facendo propria la filosofia di Plotino secondo cui occorre “scolpire la propria statua, scalpellando via tutto ciò che di falso e inutile vi sta attaccato” per “liberare alla fine quel che noi siamo”. Il punto di partenza della visione del mondo di Baricco è la responsabilità individuale e la filosofia un esercizio spirituale per imparare a vivere. Gli ideali a cui l’intellettuale si ispira sono l’audacia e la prudenza, quegli stessi ideali che ritrova nelle parole del protagonista di “Il Medico di Corte”. Non manca una visione etica del ruolo dell’intellettuale. Riflettendo su Pascale, Baricco è impietoso verso il ruolo mistificatore dell’uomo di cultura che, piuttosto che compiacere attraverso parole ed immagini, dovrebbe “risalire il filo e andare a vedere cosa realmente accade dall’altro capo”. C’è nella visione di Baricco, che passa attraverso J. Cercas e Borges, la ricerca costante di un equilibrio tra finzione e realtà, quella che si compie nel momento in cui “l’uomo sa sempre chi è”. Lo scrittore propone il modello dell’intellettuale-lavoratore: un uomo lucido che opera nell’ombra per restituire la verità agli altri. Il lavoro dell’intellettuale, scrive Baricco a proposito della biografia su Magellano di S. Zweig, “è la più pura delle gioie e la libertà personale il bene più alto”.

Questo tendere ad un modello così eticamente elevato, genera inadeguatezza nell’intellettuale stesso. La medesima, sottolinea Baricco a proposito di J.M. Coetzee, di un bambino che indossa la tuta da sci del fratello maggiore, percependo il vuoto intorno a sé. Baricco torna sullo stesso concetto, parafrasando Kleist: “Dentro di me io porto un cuore, come una terra del Nord il seme di un frutto del Sud. Si sforza, si sforza ma non riesce a maturare”. Così lo scrittore mette in crisi se stesso e nel domandarsi quale sia il compito fondamentale dell’intellettuale, lascia che sia C. Wolf a rispondere alla sua domanda: “Gli intellettuali danno il nome alle cose (…), sanno salire su vette apparentemente inutili del sentire umano e dar loro un nome”. Tuttavia il talento, il talento vero - dirà Baricco a proposito di I. Parei - consta nel “capire i gesti semplici, primari della gente qualunque” per interpretare il mondo. La letteratura altro non è, pertanto, che una “sospensione del mondo” e la funzione del libro, secondo lo scrittore, è quella di “correggere il reale”. La dicotomia della lotta tra realtà e finzione, si scorge più volte nelle riflessioni di Baricco. Citando Cartesio, lo scrittore insiste sulla necessità di imparare a distinguere il vero dal falso, per vedere chiaramente nelle proprie azioni e capire come procedere, con sicurezza, sul cammino della vita.

Tuttavia, ciò che l’intellettuale si sforza di interpretare e possedere, all’uomo eternamente sfugge, giacché, sottolinea Baricco: “La vita non è un conto che torna”; meditando su C. Dickens, asserisce che “solo chi non è davvero interessato al paesaggio riesce a vedere il paesaggio”, facendo della distanza dalla realtà un vantaggio oggettivo. Riflettendo ancora sul talento dello scrittore, Baricco nota come, al giorno d’oggi, avere talento sia considerato “un’ ineleganza” per cui “è meglio esser vivi piuttosto che bravi”, in un contesto sociale ed epocale, che scarsamente considera le doti pure come virtù a cui dare spazio e riconoscimento. Nell’idea di mondo di Baricco trovano spazio anche riflessioni sullo humour e la bellezza. Il primo, secondo la visione dello scrittore, appare spesso come l’altra faccia della tristezza; l’idea della bellezza, invece, è spesso associata ad una condizione di fragilità. Questa ultima considerazione è usata da Baricco per esaltare l’espressività di Voltolini che muove “un passo oltre il dire puro e semplice, e un passo prima dell’acrobazia poetica”, in mezzo a una forma di “bellezza fragile” che è pregio d’artista. Parlando di vita, Baricco finisce per interrogarsi sulle regole che la governano e amaramente deduce che sono i “piani vincenti” a stabilire le regole che la società percepisce come giuste. In tal modo l’autore chiude la sua opera ritornando al concetto iniziale, a quella partita a scacchi che ciascuno e chiamato a giocare di per sé, cercando quelle soluzioni che possono condurre alla vittoria finale.


 


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