STORIA
Messina dalle sue origini (XI parte)
di Filippo Scolareci
Nonostante Gelone, fosse considerato per
certi versi giusto e moderato, dopo appena due anni di governo, essendo in cuor
suo molto ambizioso, decise di affidare la città di Gela nelle mani di suo
fratello Ierone. Gelone, nel momento in cui si presentò una ghiotta occasione, ritenendola
una possibilità che gli si prospettava nella interessante città di Siracusa. A
Siracusa, per la concomitante lotta tra
i Gamoroi (discendenti dei primi coloni greci, proprietari terrieri, che
detenevano il potere) e i Killichirioi (che erano la classe oppressa,
discendenti dei Siculi), ma che in seguito a rivolte scoppiate in città avevano
messo in fuga gli oppressori verso Gela ed avevano preso momentaneamente il
potere nelle loro mani. A questo punto Gelone con un vero capolavoro
di abilità e raffinata diplomazia, avendo aiutato, accompagnato ed assistito
con le sue truppe i Gamoroi, facendoli rientrare a Siracusa ed anche in
possesso dei loro territori, senza colpo ferire, egli riuscì a pacificarli e
farsi proclamare all’unanimità tiranno di questa importante e strategica città
ellenica, sia dall’una che dall’altra parte.
Pertanto, Siracusa venuta in potere di Gelone,
mentre la città di Gela rimaneva tranquilla e sicura in quanto affidata nelle
mani esperte di suo fratello Ierone, aveva costituito una forte e solidissima
alleanza con un vero e proprio blocco di potere anche con la città di Agrigento
in mano a Terone, a sua volta legato dal vincolo di parentela, in quanto padre
di sua moglie. Certamente, per rispondere a questa triplice
coalizione, il tiranno di Messene e di Rhegion decise di coalizzarsi con
il suocero Terillo, signore di Himera che già si trovava inglobato nella sfera
di Cartagine e conseguentemente è stata una cosa alquanto naturale stipulare un
patto con la città punica. Intanto i Cartaginesi, nell’attesa dell’inevitabile
futuro scontro con le città elleniche, avevano già costituito quelle alleanze
in territorio siciliano che ritenevano giuste, preparando in modo
accurate le mosse di un eventuale conflitto, per evitare che l’intera Sicilia
greca cadesse sotto il dominio di un unico tiranno. Ma loro non avevano fatto i
conti con Terone di Agrigento, il quale nel 480 a. C., fornì il pretesto che
attendevano. Infatti, il Tiranno della città della “Valle dei Templi”
inaspettatamente intervenne ad Himera e dopo avere rovesciato Terillo vi
stabili il suo protettorato.
Trascorso soltanto poco tempo dalla caduta di
Himera sotto le grinfie del tiranno di Akragas, ecco giungere via mare il
generale punico Amilcare, il quale effettuò l’assediò della città con una
grande armata massiccia e cosmopolita, ma priva della sua fortissima cavalleria
che era andata perduta in un disastro marittimo durante la navigazione verso la
Sicilia. Nel frattempo Terone temporeggiava, tenendo molto impegnati gli
avversari, difendendosi dagli spalti e con delle sortite improvvise fuori dalle
mura e ripiegamenti molto veloci, in attesa dell’arrivo dei Siracusani guidati
da Gelone, il quale stava giungendo a marce forzate con 25.000 fanti e 2.000
cavalieri, dopo essere riuscito ad interrompere i rifornimenti che dovevano
giungere ai punici dalle città alleate. Pertanto le truppe di Cartagine, oltre
a non riuscire a espugnare le mura della città, restarono isolati e prive di
rifornimenti.Inoltre una mattina, Gelone fece penetrare con l’inganno dei
suoi cavalieri dentro il campo navale e incendiarono tutta la flotta punica.
Ciò ne consegue che le truppe Cartaginesi con questa mossa si scompaginarono e
nonostante avessero opposto molta resistenza, si vennero a trovare alla mercè
della cavalleria siracusana, che approfittando della sorpresa, fece migliaia di
prigionieri.
La mischia che ne conseguì durò fino a sera inoltrata.
All’indomani, la grande armata punica non esisteva più e il suo capo Amilcare
era scomparso. Probabilmente morì durante i combattimenti, oppure per la
vergogna si uccise. Comunque di lui non si seppe più nulla. Lo storico Erodoto
riferì che la gloriosa battaglia di Himera è stata disputata nello stesso
giorno (23 settembre del 480 a.C.) di quella effettuata nel golfo di Salamina
dove vide la flotta e l’esercito persiano (alleati di Cartagine) soccombere di
fronte alla flotta Greca, pur essendo costituita di un numero molto inferiore a
quella del nemico. Probabilmente Gelone commise l’errore di non
respingerli in Africa, forse per quel famoso detto che “ai nemici in fuga si
fanno ponti d’oro”. Tuttavia, la tremenda batosta servì come ammonimento per
gli sconfitti, i quali sono stati tenuti tranquilli e a bada fino alla fine di
quel secolo. Pertanto, dopo
questo esito abbastanza infausto, le due città dello Stretto, Messene e
Rhegion, vennero a gravitare in modo automatico nell’orbita della potenza
siracusana costituendo, maggiormente dopo la morte di Anassila (476 a. C.)
sotto i successori dello stesso, come da precedenti accordi, un’entità politica
bicipite che riuscì a mantenersi fino al 461 a.C., epoca in cui la tirannide
degli Anassilaidi venne completamente eliminata. Per quanto riguarda la città del Peloro,
dall’influenza siracusana si tramutò il nome da Messene in Messana e
consequenziale trasformazione, da una città opulenta che aveva raggiunto alti
livelli anche nella vita e nelle classi sociali (fino al 460 a.C.), in un
centro di raccolta dei mercenari che erano stati mandati via dalle altre città.
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