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 venerdì 3 luglio 2015

RACCONTI

Il terremoto di Carpi e quello di Messina

di Gianni Ruta


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Quel sisma a Carpi, catapultandoci in un fiat nell’inconsueta dimensione di smarrimento mentale, a distanza di tempo quando riemerge dai nostri ricordi ci turba ancora.Certo che la sua intensità per la cittadinanza, non provata a tale violenza, oltre ai danni morali ha causatoserie conseguenze materiali: fabbricati e negozi,fortemente, danneggiati e ancora chiusi,tante famiglie che ne portano tuttora il segno per avere dovuto, fra l’altro, abbandonare le loro case e non poche di loro, purtroppo, ancora sono sfollati. È doveroso evidenziare la prontezza e la grande forza organizzativa delle Istituzioni ovunque presente e la cittadinanza sotto choc non si è sentita sola. In quel funesto momento, abitavo fuori Carpi al primo piano, con circa trentacinque scalini e una figliola invalida, abbastanza corpulenta e con problemi dideambulazione e la badante e tutte due in tilt fuori controllo, ho faticato non poco per portarci all’esterno ove c’era uno spazio di sicurezza.

Se a ciò si aggiunge di alcunivicini di quel piano alle prese col “si salvi chi può” ai quali volenti o nolenti, sulla scala dovevamo cedere il passo per conquistarsi l’uscita. Abbiamo impiegato quattrovolte il loro tempo per portarci fuori. Io abituato a quei frangenti terremotali caratteristici di quella mia terra ballerina e reduce di tre di bombardamenti anglo-americani nella mia Messina, dal 1940 al 1943e, successivamente, uno a Piombino, quell’esperienza mi diede una forte calmata. Ricordiamoci che, alle 4 del mattino del 1908, Messina fu soggetta di un tremendo terremoto nel quale confluironomaremoto e aeromoto.Tre terribili forze della natura concordarono lì l’appuntamento devastando Messinae dintorni e con minori danni la vicina Calabria. Quella notte l’immenso disastro nella sola Messina causò circa 100.000 morti. In quella calamità, alla mia futura madre morì ilcompagno, secondo la terminologia di oggi. Erano in stato di fuitina (scappatella) da circa un mesee da 15 giorni avevano presentato al Comune e alla Chiesa la relativa documentazione per il loro matrimonio.

Lui, mori. Il mio futuro padre, invece, con la moglie e la lorobambinadi tre anni, Ninetta (portava il nome della nonna paterna), si salvarono mentre la moglie morì. Dopo circa un anno i due sopravvissuti, come sappiamo entrambi vedovi, s’incontrarono e si sposarono. La bambina morì a quasi cinque anni portata via da quel fiume di mortalità infantile che, a quell’epoca, mieteva tante vittime non solo in Italia. Da quel matrimonio Pennisi-Ruta nacquero otto figli. Io sono l’ultimo della nidiata. Primo figlio 1910,l’ultimo, io, 1926. Il fato, raramente benigno, quella volta lo fu per noi lorofigli da venire. Due genitori che auguro a tutti i figli del mondo. Papà, uomo di mare, faceva il palombaro prima, sulla corazzata Regina Margherita (nome della sposa di Umberto I), dopo a disposizione del nostro porto. Mia madre era la pronipote del barone Pennisi di Acireale.

Il Palazzo Pennisi, ancor oggi Convitto Pennisi da lui donato allo Stato col patto che creasseun Istituto Scolastico superiore, tale ancora è: “Convitto Pennisi”, e la via Pennisi. A questa donazione, aggiunse la sua favolosa collezionenumismatica, una delle più interessanti del Paese di quei tempi. Tra quell’immensa sciagura una particella benevola riesce a insediarsi e, traquelle immani rovine, devastazioni, accostato vi era un minuscolo prato erboso impolverato, minuscolo quanto un fazzoletto, dal quale spuntarono due arditi e bellissimi fiori.


 


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