RACCONTI
Il terremoto di Carpi e quello di Messina
di Gianni Ruta
 Quel
sisma a Carpi, catapultandoci in un fiat nell’inconsueta dimensione di
smarrimento mentale, a distanza di tempo quando riemerge dai nostri ricordi ci
turba ancora.Certo che la sua intensità per la cittadinanza, non provata
a tale violenza, oltre ai danni morali ha causatoserie conseguenze
materiali: fabbricati e negozi,fortemente, danneggiati e ancora
chiusi,tante famiglie che ne portano tuttora il segno per avere dovuto,
fra l’altro, abbandonare le loro case e non poche di loro, purtroppo, ancora
sono sfollati. È doveroso evidenziare la prontezza e la grande forza
organizzativa delle Istituzioni ovunque presente e la cittadinanza sotto choc
non si è sentita sola. In quel funesto momento, abitavo fuori Carpi al primo
piano, con circa trentacinque scalini e una figliola invalida, abbastanza
corpulenta e con problemi dideambulazione e la badante e tutte due in
tilt fuori controllo, ho faticato non poco per portarci all’esterno ove c’era
uno spazio di sicurezza.
Se a ciò si aggiunge di alcunivicini di quel
piano alle prese col “si salvi chi può” ai quali volenti o nolenti, sulla scala
dovevamo cedere il passo per conquistarsi l’uscita. Abbiamo impiegato
quattrovolte il loro tempo per portarci fuori. Io abituato a quei
frangenti terremotali caratteristici di quella mia terra ballerina e reduce di
tre di bombardamenti anglo-americani nella mia Messina, dal 1940 al 1943e,
successivamente, uno a Piombino, quell’esperienza mi diede una forte calmata.
Ricordiamoci che, alle 4 del mattino del 1908, Messina fu soggetta di un
tremendo terremoto nel quale confluironomaremoto e aeromoto.Tre
terribili forze della natura concordarono lì l’appuntamento devastando
Messinae dintorni e con minori danni la vicina Calabria. Quella notte l’immenso
disastro nella sola Messina causò circa 100.000 morti. In quella calamità, alla
mia futura madre morì ilcompagno, secondo la terminologia di oggi. Erano
in stato di fuitina (scappatella) da circa un mesee da 15 giorni avevano
presentato al Comune e alla Chiesa la relativa documentazione per il loro
matrimonio.
Lui, mori. Il mio futuro padre, invece, con la moglie e la
lorobambinadi tre anni, Ninetta (portava il nome della nonna
paterna), si salvarono mentre la moglie morì. Dopo circa un anno i due
sopravvissuti, come sappiamo entrambi vedovi, s’incontrarono e si sposarono. La
bambina morì a quasi cinque anni portata via da quel fiume di mortalità infantile
che, a quell’epoca, mieteva tante vittime non solo in Italia. Da quel
matrimonio Pennisi-Ruta nacquero otto figli. Io sono l’ultimo della nidiata.
Primo figlio 1910,l’ultimo, io, 1926. Il fato, raramente benigno, quella
volta lo fu per noi lorofigli da venire. Due genitori che auguro a tutti
i figli del mondo. Papà, uomo di mare, faceva il palombaro prima, sulla
corazzata Regina Margherita (nome della sposa di Umberto I), dopo a disposizione
del nostro porto. Mia madre era la pronipote del barone Pennisi di Acireale.
Il Palazzo Pennisi, ancor oggi Convitto Pennisi da lui donato allo Stato
col patto che creasseun Istituto Scolastico superiore, tale ancora è: “Convitto
Pennisi”, e la via Pennisi. A questa donazione, aggiunse la sua favolosa
collezionenumismatica, una delle più interessanti del Paese di quei
tempi. Tra quell’immensa sciagura una particella benevola riesce a insediarsi e,
traquelle immani rovine, devastazioni, accostato vi era un minuscolo
prato erboso impolverato, minuscolo quanto un fazzoletto, dal quale spuntarono
due arditi e bellissimi fiori.
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