LA CROCE
Le origini della Crocifissione
di Filippo Scolareci
La Croce che ha visto l’agonia di
nostro Signore Gesù Cristo è da sempre considerata un simbolo della
Cristianità, mentre in realtà all’origine era un simbolo prettamente pagano che
simboleggiava il sole nello scorrere delle stagioni sulla terra. Mentre per
quanto riguarda le origini di questa forma di supplizio, secondo gli storici
prese avvio tra i popoli del vicino Oriente e sembra che non sia mai stata
messa in pratica da Egizi e Assiri, mentre i Greci l’adottarono fuori dai loro
confini, invece per quanto riguarda i Giudei venne introdotta, nel I secolo
avanti Cristo, da Alessandro Ianneo. I documenti romani ne parlano in modo
ufficiale soltanto dopo la conclusione delle Guerre Puniche e questo fa presupporre
che nell’Urbe sia stata introdotta dopo il contatto coi Cartaginesi.
I popoli
che praticarono la Crocifissione la considerarono una pena esemplare infamante
e, in modo particolare, venne riservata agli schiavi, ai traditori della
patria, ai ribelli, ai pirati. A Roma, dov’era indicata come supplizio servile,
venne messa in uso nel periodo repubblicano soltanto per l’esecuzione degli
schiavi, mentre nel Periodo Imperiale finirono in croce anche grandi
malfattori. Nell’Urbe, la sola ipotesi di condanna alla crocifissione di un cittadino
romano venne sempre considerata una grave offesa al diritto personale, tuttavia
questo non ha potuto impedire a un civis
di concludere i suoi giorni terreni sulla croce, nonostante l’appassionata
arringa difensiva da parte del famoso Cicerone.
Considerando le variabilità che
vennero applicate e le sue modificazioni procedurali che si sono verificate nel
corso dei secoli, si è potuto ricostruire la sequenza degli eventi che andava
sin dall’inizio della dichiarazione della condanna, fino alla morte sulla
croce. L’imputato di un delitto ritenuto molto grave veniva portato nel Foro in
presenza di un giudice e qui, dopo la sentenza, veniva, completamente, denudato
per rendere pubblico il suo annullamento; quindi gli veniva collocata sulla
schiena una barra di legno (furca)
alla quale gli venivano legate le braccia allargate. La “furca” era all’origine
il legno trasversale di un carretto agricolo con solo due ruote, ma nel caso
che la famiglia a cui apparteneva lo stesso schiavo condannato non disponesse
di questo carretto agricolo veniva utilizzata la barra con cui si chiudeva la
porta di casa (patibulum).
Subito dopo, così immobilizzato
il condannato veniva condotto nelle strade del villaggio o del quartiere dove
egli viveva e ad alta voce era costretto a confessare il suo delitto, mentre la
folla al suo passaggio lo poteva coprire di insulti, di sputi e di percosse. E,
in molti casi, la condanna alla Crocifissione prevedeva anche la fustigazione,
la quale spesso lungo questo percorso portava direttamente alla morte. Se,
invece, il condannato riusciva a resisteva fino al luogo della crocifissione
(di solito più distante dalle mura della città; a Roma a Campo Marzio), veniva
sollevato sul palo delle esecuzioni, in modo tale che con il furca o il patibulum, che aveva già fissato alle spalle, andavano a formare
una croce. A questo punto, il corpo veniva, completamente, immobilizzato con l’impiego
delle corde o di chiodi. A tale proposito, l’iconografia della Religione
Cristiana mette in evidenza le palme delle due mani trafitte da un chiodo e i
piedi, invece, sovrapposti l’uno sull’altro, trapassati da un solo chiodo.
Mentre studi di epoca recente
indicano, invece, che le braccia fossero immobilizzate da chiodi inflitti nei
polsi. Invece, per quanto riguarda all’immobilizzazione dei piedi, una scoperta
fatta alcuni anni or sono, in Israele, fa ritenere che almeno in qualche caso i
piedi non venissero immobilizzati uno sull’altro con un solo chiodo e ognuno
era fissato sul lato esterno del legno della croce con un chiodo (il quale
trapassava il tarso) e una tavoletta di legno. La ricostruzione venne stata
fatta da due archeologi israeliani, Joseph Zias e Eliezer Sekeles che, nel 1985,
esaminarono i resti ossei di un uomo di nome Jonathan crocifisso a Gerusalemme
nel primo secolo dopo Cristo.
In questa orribile posizione, sospeso sulla croce
il condannato andava incontro a una morte atroce per sfinimento o soffocamento
prodotto dal peso del corpo sulla muscolatura del torace. Quando il condannato
non dava più segni di vita, i soldati di guardia ne verificavano la morte colpendolo
con una lancia o con il fuoco e del fumo, oppure procurandogli delle fratture
alle gambe. Dopo essersi resi conto del l’avvenuto decesso, abbandonavano il
cadavere sotto l’azione del sole cocente, degli uccelli rapaci e dei cani, in
quanto trattandosi quasi sempre di schiavi, non si presentava nessuno a
richiederlo.
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