GIUSTIZIA RIPARATIVA
La nuova frontiera della Pena
di Olga Cancellieri
L’articolo 27 della Costituzione
enuncia “Le pene (...) devono tendere
alla rieducazione del condannato”, così sancendo il principio del finalismo
rieducativo della pena, la cui giustificazione non può non fare riferimento
alle specifiche esigenze specialpreventivo-risocializzative del condannato. In
particolare, la funzione della prevenzione speciale è quella di eliminare o
ridurre il pericolo che il soggetto ricada in futuro nel reato; essa fa
riferimento a un concetto di relazione, presupponendo la necessità del
reinserimento del reo nella comunità dalla quale si era estraniato, mediante l’azione
sugli stessi fattori che avevano determinato il perpetrarsi del delitto.
La rieducazione si traduce,
pertanto, in una solidaristica offerta di opportunità, affinché al soggetto sia
data la possibilità di un progressivo reinserimento sociale, correggendo la
propria antisocialità e adeguando il proprio comportamento alle regole
giuridiche. La rieducazione, però, deve passare dalla preventiva creazione di
motivazioni che inducano a comportamento socialmente corretti e può realizzarsi
solo prevedendo, accanto ai diritti del condannato, anche l’ideologia dei suoi
doveri. Tuttavia, negli ultimi anni sta
prendendo sempre più piede una nuova “funzione” della pena, quella riparativa
(che non va affatto confusa con la funzione retributiva che, talvolta, la pena
assume per risarcire le vittime o i loro prossimi congiunti dalle sofferenze di
un delitto).
In Italia, ultimamente la
giustizia riparativa è stata definita, in prima approssimazione, come una
possibile risposta al reato che coinvolge il reo e la comunità e/o la vittima,
nella ricerca di possibili soluzioni agli effetti dell’illecito e nell’impegno
fattivo per la riparazione delle sue conseguenze. Tra le forme/azioni di
giustizia riparativa si evidenzia quale forma più compiuta la mediazione che è
vista come “procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare
attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà
derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore)”. Il fenomeno criminoso viene
letto, in tale ottica, anche come evento che provoca la rottura di aspettative
e legami sociali simbolicamente condivisi che richiede l’adoperarsi per la
ricomposizione del conflitto e il rafforzamento del senso di sicurezza
collettivo.
In particolare, la giustizia
riparativa può essere vista come quel procedimento in cui la vittima e il reo,
e se appropriato, ogni altro individuo o membro della comunità lesi da un reato
partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte dall’illecito
penale, generalmente con l’aiuto di un facilitatore. Le forme e le modalità,
con cui realizzare la ricucitura dello strappo, possono essere molteplici e
diverse. Dalle scuse alle vittime, alle ore di volontariato presso varie
strutture che prevedano lo svolgimento di lavori manuali (dal giardinaggio,
alle faccende domestiche, al riordino di archivi, alle fotocopie), ma anche
intellettuali (attività informatiche, pedagogiche, linguistiche e formative in
generale, tenute da ex detenuti). La nuova frontiera della pena
vuole far sì che si ripari il “male fatto”, se non
direttamente con la vittima o con i suoi familiari, almeno, simbolicamente, con
la comunità sociale nella sua interezza. La giustizia riparativa
costituisce sicuramente una scommessa, ma tutta da vincere.
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