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 lunedì 7 marzo 2016

L’ULTIMA CANTASTORIE

Rusidda ‘a licatisi

di Salvatore Anzà


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Nel giorno dedicato alle donne, vogliamo omaggiarle raccontando di una siciliana, un personaggio unico nel panorama storico-musicale italiano. Nessun’altra voce, come quella di Rosa Balistreri, è riuscita ad esprimere, in modo più completo, i toni drammatici di una Sicilia, la sua Sicilia. Rosa nacque durante la primavera del 1927, a Licata, paese nell’entroterra agrigentino. Figlia di una famiglia povera e numerosa conobbe ben presto il dolore e la fatica estrema del lavorare nei campi per aiutare la famiglia. A soli 15 anni, fu data in sposa ad un poco di buono che sciupò tutti i loro risparmi al gioco. Rosa tentò di ucciderlo e andò a costituirsi dai carabinieri. Fu, quindi, arrestata e finì in galera per sei mesi. Uscita dal carcere andò a lavorare presso una famiglia benestante. Messa incinta dal loro figlio e da questi illusa dalla falsa promessa di una vita insieme, prese degli oggetti dalla casa per pagarsi la fuga in due, ma fu poi denunciata e arrestata per altri sei mesi. Uscita dal carcere trovò lavoro come sagrestana nella chiesa degli “Agonizzanti” e lì visse nel sottoscala con il fratello. Purtroppo, ricevette le molestie del nuovo prete e, con i soldi delle elemosine, fuggì con il fratello per Firenze.

Per circa un ventennio visse a Firenze e questo fu il periodo in cui la sua vita cambiò in modo definitivo, grazie soprattutto al pittore Bartolomeo Manfredi che la presentò ad artisti, quali Ignazio Buttitta e Dario Fo. In quegli anni nasce e si consacra la Rosa artista. Nel 1971 tornò nella sua adorata Palermo, città che fu sempre fonte d’ispirazione per l’Artista e nella quale morì nel 1990. Artisticamente, era senza dubbio una cantastorie – anche se fuori tempo massimo – sia per le tematiche utilizzate, sia per l’aspetto sociale che accompagna il ruolo poetico-narrativo dei cantastorie che Rosa attualizzò, abbracciando in pieno la musica sociale che, in quegli anni di lotte, era la base di un’idea politica delle classi sfruttate e sottopagate. Lei cantava con passione la sua terra, la fame, il carcere, la povertà e la ribellione, il vissuto di tutte le donne siciliane. Come il cantastorie, Rosa era in grado di rappresentare un’eredità storica. Denunciava secoli di soprusi perpetrati ai danni dei più deboli, una realtà difficile che essa stessa aveva vissuto sulla sua pelle. Rosa non “interpretava”, perché Lei “era”.

Era, soprattutto, se stessa, selvaggia e autentica. Il suo canto divenne famosissimo ed i suoi concerti, che continuò sempre a tenere nelle piazze e tra la gente, richiamavano folle in tutto il paese. Il tesoro di Rosa non era tanto la voce, nonostante fosse unica e dal timbro forte e penetrante, quanto la rappresentazione nella sua memoria di tutte le canzoni che aveva ascoltato in Sicilia, tra i contadini nelle assolate campagne o tra i pescatori in riva al mare. L’Isola cantava in Lei. Una voce con radici profonde di canti antichi, però viva e conscia dei drammi e della sofferenza dell’attualità dei problemi che hanno sempre alimentato il dolore e l’amore per la Sicilia.


 


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