L’ULTIMA CANTASTORIE
Rusidda ‘a licatisi
di Salvatore Anzà
Nel giorno
dedicato alle donne, vogliamo omaggiarle raccontando di una siciliana, un
personaggio unico nel panorama storico-musicale italiano. Nessun’altra voce,
come quella di Rosa Balistreri, è riuscita ad esprimere, in modo più completo,
i toni drammatici di una Sicilia, la sua Sicilia. Rosa nacque durante la
primavera del 1927, a Licata, paese nell’entroterra agrigentino. Figlia di una
famiglia povera e numerosa conobbe ben presto il dolore e la fatica estrema del
lavorare nei campi per aiutare la famiglia. A soli 15 anni, fu data in sposa ad
un poco di buono che sciupò tutti i loro risparmi al gioco. Rosa tentò di
ucciderlo e andò a costituirsi dai carabinieri. Fu, quindi, arrestata e finì in
galera per sei mesi. Uscita dal carcere andò a lavorare presso una famiglia
benestante. Messa incinta dal loro figlio e da questi illusa dalla falsa
promessa di una vita insieme, prese degli oggetti dalla casa per pagarsi la
fuga in due, ma fu poi denunciata e arrestata per altri sei mesi. Uscita dal
carcere trovò lavoro come sagrestana nella chiesa degli “Agonizzanti” e lì
visse nel sottoscala con il fratello. Purtroppo, ricevette le molestie del
nuovo prete e, con i soldi delle elemosine, fuggì con il fratello per Firenze.
Per
circa un ventennio visse a Firenze e questo fu il periodo in cui la sua vita
cambiò in modo definitivo, grazie soprattutto al pittore Bartolomeo Manfredi
che la presentò ad artisti, quali Ignazio Buttitta e Dario Fo. In quegli anni
nasce e si consacra la Rosa artista. Nel 1971 tornò nella sua adorata Palermo,
città che fu sempre fonte d’ispirazione per l’Artista e nella quale morì nel
1990. Artisticamente, era senza dubbio una cantastorie – anche se fuori tempo
massimo – sia per le tematiche utilizzate, sia per l’aspetto sociale che accompagna
il ruolo poetico-narrativo dei cantastorie che Rosa attualizzò, abbracciando in
pieno la musica sociale che, in quegli anni di lotte, era la base di un’idea
politica delle classi sfruttate e sottopagate. Lei cantava con passione la sua
terra, la fame, il carcere, la povertà e la ribellione, il vissuto di tutte le
donne siciliane. Come il cantastorie, Rosa era in grado di rappresentare
un’eredità storica. Denunciava secoli di soprusi perpetrati ai danni dei più
deboli, una realtà difficile che essa stessa aveva vissuto sulla sua pelle. Rosa
non “interpretava”, perché Lei “era”.
Era, soprattutto, se stessa, selvaggia e
autentica. Il suo canto divenne famosissimo ed i suoi concerti, che continuò
sempre a tenere nelle piazze e tra la gente, richiamavano folle in tutto il paese.
Il tesoro di Rosa non era tanto la voce, nonostante fosse unica e dal timbro
forte e penetrante, quanto la rappresentazione nella sua memoria di tutte le
canzoni che aveva ascoltato in Sicilia, tra i contadini nelle assolate campagne
o tra i pescatori in riva al mare. L’Isola cantava in Lei. Una voce con radici
profonde di canti antichi, però viva e conscia dei drammi e della sofferenza
dell’attualità dei problemi che hanno sempre alimentato il dolore e l’amore per
la Sicilia.
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