28 DICEMBRE 1908
All’alba, la nobile città di Messina veniva distrutta dal terremoto
di Domenica Timpano
Alle 05,21 del mattino di 105 anni fa, gli abitanti, immersi nel sonno, furono
svegliati da un terribile boato. Un sisma di magnitudo 7.1 della scala Richter,
cui fece seguito un maremoto, devastò le coste di Messina e Reggio Calabria.
Numerosi centri abitati furono cancellati e con essi gli abitanti. Messina subì
più di 90.000 perdite umane e la distruzione del 90% dei suoi edifici.
“Al buio fittissimo
di quella notte di dolore successe la luce fosca di un giorno maggiormente
addolorato. Giorno di paura
e di morte!”. “Il sole questa volta non ardì mostrare la sua faccia sul limitar dell’orizzonte,
e tu avresti detto pauroso di dover illuminare, sopra due province sfortunate,
cose che la notte stessa non avea avuto tenebre abbastanza profonde e durata
abbastanza sufficiente, per tenere celate attraverso i secoli. Densissime
nuvole di polvere restavano ancora spiegate come un sudario sopra tutto lo Stretto
di Messina, ed avvolgendo uomini e cose, lasciavano cadere i lembi di quel
manto funereo sopra quanto un giorno prima, un’ora prima, era stato sorriso,
era stata vita, era stata ricchezza…” –
così si legge nel libro Un duplice
flagello, di Giacomo Longo.
“Ad uno, a due, a
dieci, a cento sbucano i feriti da tutte le macerie ed a carponi si trascinano
verso la marina. Si aiutano e si sorreggono a vicenda, cadono e si rialzano, e
tra spasimi che non hanno parola e sforzi disperati, e bagnando di sangue ogni
pietra, ogni masso, ogni legno che si para davanti, pervengono sempre più
estenuati, sempre più decimati, laddove speravano trovare un sollievo, un
soccorso…”.
“Lungo il Corso
Vittorio Emanuele, da Piazza Vittoria fino ai magazzini generali, tra il molo e
la palizzata, sulle macerie e sopra i tratti sgombri, convennero nel corso di
quella giornata tutti gli avanzi miserandi dell’infelice popolo messinese. Accanto ad un
mucchio di cadaveri abbiamo visto dei bambini inconsci di tutto quanto li
circondava, trascinarsi alle gonnelle delle mamme, scherzare prima, ridere poi,
piangere finalmente e cercar del pane; ed abbiamo visto le mamme col volto
soffuso di lagrime e con la fronte improntata a tutte le sofferenze delle
proprie anime, perché la fame dei cari figliuoli lacerava senza dubbio con mano
atroce i loro cuori addolorati. Presso a costoro venti o trenta feriti si
arrotolavano nel proprio sangue, gemevano, cercavano un sorso d’acqua,
mormoravano parole impercettibili, morivano…”.
“Nella piazzetta
del Teatro Vittorio Emanuele, in mezzo a tante rovine e seduta sopra un angolo
di muro, vid’io una fanciulla che poteva avere appena quindici anni. Il suo
corpo andava coperto di una semplice camicia da notte, e le braccia per metà
nude ed incrociate sul petto le davano una espressione indefinita di pietà e di
dolcezza… . Seppi più tardi
chiamarsi Bianca ed esser seduta sulle rovine della propria casa…”.
In quel terribile terremoto, morì anche mio nonno. Di lui
non si trovò il corpo, ma solo un indumento che gli apparteneva. Abitava con la
famiglia nella zona del Monte di Pietà ed era uscito per recarsi al lavoro che
espletava come maresciallo dei vigili. Tornò indietro, quel mattino, perché
aveva dimenticato di baciare i suoi figli che ancora dormivano. La morte lo
colse nella zona di Piazza Duomo dove molti palazzi rovinarono. Mio padre, di
appena 4 anni, e mio zio Francesco, più piccolo, rimasero orfani e la nonna
vedova a soli 23 anni.
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