SANTA MARIA INCORONATA
L’avventura del “Ferculum” Processionale di S.Giacomo
di Marisa Frasca Rustica
Alla
comunità di Camaro superiore era dato, da diversi secoli, il privilegio di
custodire e tramandare il culto per l’apostolo Giacomo il maggiore. Il seicentesco
fercolo d’argento era il loro tesoro
tanto che, a detta dell’anziano confrate ottantenne Sturniolo, l’arca veniva
smontata e custodita, gelosamente, fino al giorno precedente la festa, quando
veniva rimontata.
Una
speciale solennità era concessa alla processione del santo, infatti, ogni 25
luglio i cammaroti accompagnavano il loro santo fino alla basilica cattedrale
per porre la statuina d’argento sull’altare maggiore e “prestare il ferculum“ al reliquario di cristallo
contenente i capelli con i quali la Vergine Maria aveva avvolto la Sacra
Lettera. La processione, così ricomposta, percorrerà la strada S. Giacomo,
intorno alla Cattedrale, per poi farvi ritorno. San Giacomo, di poi, riprenderà
il posto sul suo ferculum e ritornerà,
presso la chiesa di Santa Maria Incoronata, entro mezzogiorno. A Camaro, infine,
la processione sosterà e le mamme faranno passare sotto la statua i piccoli che
non camminano ancora bene. Questa ritualità è stata, da me, ritenuta
importante, perché richiama l’idea del camminare quella, cioè, del “Cammino
compostellano”. Fin qui la tradizione cammarota.
Nessuno
mai aveva, prima, descritto ciò che era riprodotto nei pannelli dei basamenti.
Precursore ne fu Elio Robberto, docente dell’Università di Perugia, il quale descrisse,
così, il significato di ogni pannello di perfetta cultura del famoso cammino
penitenziale galiziano: Pannelli del basamento inferiore: 1) Il miracolo
dell’impiccato risuscitato e dei polli arrostiti che cantarono sul desco
dell’Alcade; 2) L’apparizione di S. Giacomo a Carlomagno diretto verso la
Spagna; 3) La conversione del mago Ermogene; 4) L’arrivo dell’apostolo a
Cartagine; 5) Il “Matamoros” alla battaglia di Clavijo; 6) La nave che
trasporta le spoglie di S. Giacomo in Galizia guidata dall’angelo nocchiero.
Pannelli della piramide superiore: 1) Il Matamoros alla battaglia di Clavijo;
2) Il trasporto del corpo di S. Giacomo su una barca guidata da un angelo; 3) L’arrivo
a Compostella e la Regina lupa inginocchiata; 4) S. Giacomo vestito da Pellegrino,
circondato dai Confrati.
Nel
libro del prof. Elio Robberto: “L’Arche
de Saint Jacques le Majeur à Camaro et la propagation du culte compostellan en
Sicile”, con prefazione dello studioso Raymond Oursel, si legge che questi
studiosi avevano posto l’attenzione su un volumetto pubblicato, nel 1963, e
intitolato “I pellegrini del Medio Evo”,
di Gaston di Roupnel. Questo scrittore, che amava anche ritirarsi nelle sue
proprietà dove coltivava un vigneto, vedeva passare alcuni pellegrini che si
dirigevano a piedi alla volta della Galizia. Avendo compreso che quel
pellegrinaggio, che si snodava sotto i suoi occhi, aveva un grande posto nella
cultura cristiana europea, decise di narrarne la storia, mettendo nero su
bianco.
La casa editrice Jaca Book di Milano, solo 15 anni più tardi, decise di
pubblicare il volumetto in lingua italiana. Un messinese, domiciliato in Monferrato,
su un foglio di carta intestata della Fiat di Torino, scrisse all’autore in lingua
francese, per segnalargli che, nel piccolo centro di Camaro, in Messina, si
festeggiava San Giacomo con una liturgia speciale alla presenza del Senato.
Ogni 25 luglio, sotto la canicola, il santo veniva trasportato a spalle per
raggiungere, dopo tre kilometri di marcia, la Cattedrale e, di poi, rientrare in
chiesa entro mezzogiorno.
Il prof. Robberto venne in Messina e chiedere notizie
al parroco, di quel tempo, Lillo Ruggeri. Aveva egli, altresì, letto un
interessante libro della prof. Accascina, sull’argenteria messinese del XVII,
in cui si accennava all’opera raffinata degli Juvara, menzionando anche un atto
notarile, del 20 gennaio del 1666, che se da un lato affermava il grande pregio
artistico dei cesellatori, dall’altro risultava introvabile, per cui era
impossibile stabilirne il committente. Alla pagina 34 del suo studio, infatti,
egli diceva di aver consultato diverse istituzioni, ma di non aver avuto alcuna
notizia in merito, per cui, tenendo conto della bellezza costosa dell’arca,
degli argomenti tipici del pellegrinaggio spagnolo e del luogo un po’ distante
dalla città in cui si trovava, opinò che il probabile committente poteva essere
il principe Ruffo, lasciando, però, aperto il campo ad altri studi.
Fu
nel 1994 che, per caso, toccò a me fare questa ricerca. Trovandomi in un campo
ancora poco noto, mi rivolsi alla dott. Ella Russo per una sua collaborazione, che
mi fece conoscere la dott. Maria Teresa Rodriguez, per un avere un consulto con
la gentilissima e competente direttrice dell’Archivio di Stato, dott. Alibrandi.
Ella mi mostrò l’atto notarile il quale risultava custodito nelle opere legali
della sezione competente. Ne ebbi in consegna una copia ribattuta a macchina,
data la difficoltà a leggere in latino un atto notarile del 1600. Ed ecco che venivo
a conoscenza di una cosa inedita, sino ad allora. Il committente era stato il
parroco dell’epoca Francesco Capano.
Poiché
l’anno della committenza di quest’Arca coincideva con un Anno Santo
Compostellano, considerando ancora che il ferculum
narrava la storia della tradizione compostellana e documenti normanni ne accennavano
una via “francigena “ (soprattutto, nella zona di Milazzo), la via percorsa dai
pellegrini verso la Galizia, ho azzardato un’ipotesi di studio intesa ad
affermare che Messina non era estranea a tale avvenimento europeo,
specificandolo anche nel mio testo “El camino
de Santiago de Compostella e Messina”.
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