STORIA
L’iconografia del potere al tempo di Federico II
di Pina D’Alatri
 Poliedrico, ambizioso, determinato,
talvolta feroce, Federico II si rivela anche un antesignano del culto, oggi
diremmo mass-mediatico dell’immagine. Il saggio di Valentina Certo (“Il Tesoro di
Federico II, Potere e Cultura a Corte, Ed. Giambra 2019 Terme Vigliatore pag.
200) persegue questa linea interpretativa, facendo risaltare le capacità
intuitive, la forza del carattere e la ferrea volontà di dominio dello Svevo. L’autrice
illustra l’ascesa del regnante come un progetto di dominio assoluto, supportato
dalla ricerca del consenso dei popoli soggetti, attraverso una sapiente
pubblicità iconografica, tendente al culto dell’immagine, quasi un ritorno all’apoteosi
imperiale romana. Due gli obbiettivi di Federico, porsi da un lato, come erede
della “Romanorum Potestas” e dall’altro come fermo oppositore del carisma
papale. Da ciò, la ricerca del consenso attraverso i manoscritti, le opere
figurative e i gioielli e, in particolar modo, la glittica che sottolinea il
dettaglio attraverso la preziosità dell’oggetto e che, con la sua simbologia,
favorisce le mire egemoniche di un regnante così carismatico.
Federico sa che la forza delle armi
serve solo a imporre il consenso, ma non a sostenerlo, da ciò la sua tendenza
al sublime, al grandioso, al fuori misura. Forse lo avrà condizionato l’esser
nato in pubblica piazza per essere subito esposto all’attenzione del popolo in
attesa, l’essere stato oggetto di smisurate passioni, esser stato lui stesso smisurato
in tutto il suo percorso di vita. La grandiosità dei suoi castelli, concreta
irradiazione della sua maestà, e il carisma della sua persona dovevano
riproporre l’immagine del “divino regnante”, che sulla terra espandeva un
potere che veniva dall’alto. Egli doveva opporsi al presente in cui si
muovevano faccendieri della chiesa, avversari politici e nemici personali,
impreziosendo la sua immagine e concedendole una sorta di immortalità. Il testo
ricco e documentato si segnala tra la congerie di scritti dedicati a Federico
II, non solo perché offre un panorama ampio e articolato dell’epoca, vista
nella sua complessità politica e artistica, ma anche per la profonda analisi
psicologica in cui la figura di Federico acquista concretezza e umanità.
Appare un uomo che aspira all’
immortalità, consapevole che può raggiungerla attraverso la fama se ben
supportata dalla statuaria, dalla pittura o dall’arte orafa. Il libro della
Certo propone questo messaggio: le arti figurative, come anche quelle orafe,
permettono di dar corpo al passato, attraverso oggetti che, seppur in modo simbolico,
ne possano testimoniare gli aspetti più pregnanti e le tematiche più
significative. La figura di Federico II acquista maggiore concretezza da questa
analisi attenta e comparata: appare evidente la sua immane grandezza che lo
porta a voler quasi sfidare le leggi della natura. Fattosi erede dei grandi
imperatori romani trasmetterà un messaggio indelebile: l’uomo è destinato a
svanire dallo scenario del mondo ma non la sua immagine trasmessa dall’arte
figurativa e la sua essenza, insita nei suoi scritti.
La trasmissione ai posteri, come dice
Foscolo, avverrà per i grandi spiriti, finché il sole risplenda sulle sciagure
umane e questo però, nel caso di Federico, va oltre le categorie morali e tocca
solo la sublimità dell’arte che è al di sopra del bene e del male. Ciò che l’arte
ha prodotto nei secoli per rappresentare il potere, sarà colto, assimilato e
adattato da Federico per essere poi trasmesso ad altre epoche che ne
erediteranno il fascino ma non sempre ne faranno proprio il messaggio. Il
periodo in cui viviamo è quello dell’apparire, in cui l’immagine conta più dell’essenza
dell’individuo, ed è proprio per questo che la figura di Federico II assume una
notevole modernità. Il testo della Certo di grande spessore culturale, alla
luce del passato ci aiuta a decriptare meglio il nostro presente.
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