RENCENSIONI
Angelo Coco – Tre storie fiorentine e altre storie
di Redazione

La ventura
casuale di un concorso letterario mi ha permesso di accostarmi all’opera di
Angelo Coco, poeta, già, affermato, anche se poco noto, vincitore di diversi
premi in varie parti d’Italia. Già, dalla prima lettura ho percepito una felice
sintonia con i suoi versi e ne ho tratto, soprattutto, la convinzione di
trovarmi di fronte un autore maturo, dotato di una ben precisa “cifra”
poetica. Ci sono molteplici luoghi nella poesia di Coco tanto da poterla
definire una poesia itinerante, che si nutre e si plasma di queste mutevoli
esperienze spaziali. Così, ci vediamo trasportati da Firenze a Venezia, da Roma
a Bologna, da Berlino alle Highlands scozzesi, come se ci trovassimo dentro il
memoriale di un instancabile viaggiatore. È, dunque, una
poesia che si confronta con i luoghi delle città, con le chiese, le strade, le
piazze, i volti che il poeta incontra. Ma di tutto questo mutevole paesaggio
esteriore a noi giungono, attraverso la poesia, solo immagini deformate dallo
specchio dell’anima in cui si sono immerse. Non c’è realismo, mai, nella poesia
di Coco, neppure, quando l’andamento si fa molto narrativo e la sua attenzione
sembra indugiare sui dettagli molto minimali della quotidianità: la realtà che
Coco ci rappresenta è quella di un paesaggio interiore, di uno spazio psichico
in cui gli oggetti e i volti esterni sono stati, totalmente, assorbiti,
rimodellati con la materia delle emozioni, delle pulsioni, che popolano l’anima
del poeta. Sembra, dunque, che l’esperienza del viaggio costituisca un pretesto
– o forse la scintilla – da cui scaturisce l’avventura della forma poetica. La poesia non è
di facile accesso, il suo linguaggio non ricerca l’effetto di superficie,
l’abbraccio accattivante, un’immediata empatia emotiva. Ma egli, allo stesso
modo, rifugge da ogni compiacimento ermetico, la sua parola è pregna, esprime
al contempo ricerca e trasmissione di senso. Montalianamente, potremmo dire che
la sua è più poetica dell’oggetto che della parola. Ma più che Montale, mi
sembra di veder baluginare, a tratti, nelle sue poesie, tracce della densità
etica e intellettuale che contraddistingue i versi di Mario Luzi, soprattutto,
perché, anche in Coco, è presente una forte tensione metafisica. Ad esempio, in
Tre storie fiorentine, i componimenti che aprono la raccolta, si evidenzia una
dialettica tra il tempo della storia, definito in modo preciso attraverso il
riferimento ad eventi drammatici come l’alluvione di Firenze del 1966, e il
tempo dell’arte, che riposa nella sua consolante immobilità. E proprio questa imperturbabile
fissità, sembra essere l’approdo evocato dal poeta, perché essa ci riscatta
dalla fuggevolezza dell’attimo (“Vedi, figliuolo, / noi siamo come una di
quelle foglie / che oggi ti paiono ridere immortali…”), perché prefigura la
sacralità di un tempo “altro”, che è quello dell’eterno. Il linguaggio
poetico di Coco fluisce in modo denso e compatto, si distende attraverso
eleganti movenze narrative, ma, talora, si condensa in improvvise folgorazioni
liriche, in squarci di repentine epifanie. E questo conferisce ai suoi
componimenti una felice imprevedibilità e un andamento, a tratti sussultorio. E
sempre, leggendo la sua opera, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un
poeta maturo, consapevole dei propri mezzi espressivi: il suo linguaggio non cede
mai alla tentazione dello sfogo emotivo o esistenziale, ma è sostenuto da una
rigorosa ricerca formale. Esso è il sedimento di un percorso creativo vigile e,
autenticamente, vissuto. È un cammino in divenire che, sono certo, non mancherà
di donarci altri frutti preziosi.
Claudio Stella
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