AVVISO: Questo sito a breve non sarà più raggiungibile, Filo Diretto News con le sue notizie ed i suoi servizi sono disponibili al nuovo indirizzo web: www.filodirettonews.it
Oggi è 
 
 
   
Prima Pagina > Cultura e Società > Riflessioni > Pensieri nella notte del Giovedì Santo

 giovedì 18 aprile 2019

MALTA

Pensieri nella notte del Giovedì Santo

di Fra Mario Attard


alt

La notte del Giovedì Santo sono qui. All’ospedale di Mater Dei. L’ospedale nazionale di Malta. Precisamente nel turno di notte. Corro come un cavallo per assistere gli ammalati. E, sostenuto dalle parole tratte dal messaggio di Papa Francesco per la XXIII Giornata Mondiale del Malato: “Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo, sto correndo, a volte come un pazzo. Per essere lì! Accanto a Lui che soffre e sta soffrendo, anche ora, nel fratello e nella sorella malato e malata!. Ecco la vita sacerdotale. La vita che appartiene a Colui che, come ci dice perfettamente il Salmo 121, non sonnecchierà né dormirà (Salmo 121,4). Per, ovviamente, proteggere Israele. Il nuovo Israele. La Chiesa. Perché è soltanto in essa che l’Israele di Dio è veramente realizzato. Corro! Cammino! Nella fatica. La stessa fatica che Gesù soffri il Giovedì Santo alla notte. La fatica di Colui che ci ha amati sino alla fine (Gv 13,1). Poi, la mia mente, in questa notte così santa, quando Gesù istitui i sacramenti dell’Eucaristia e dell’Ordine Ministeriale, cominciava a pensare il prezzo del suo amore verso tutti noi, peccatori. Mi è venuto nel mio cuore questo bel passaggio della beata Anna Caterina Emmerick che racconta l’angosica mortale di Gesù nell’orto degli Ulivi.

Così dicendo, nella sua sconfinata angoscia interiore, Gesù scese per un piccolo sentiero ed entrò in una grotta profonda sei piedi. Vidi spaventose figure affollare minacciose la stretta caverna dove il Signore si era ritirato a pregare. Fu qui, ai piedi del monte degli Ulivi, che Adamo ed Eva piansero disperati il loro peccato. Vidi i nostri progenitori nello stesso luogo in cui Gesù depose la sua divinità nelle mani della santissima Trinità, affidando la sua innocente umanità alla giustizia di Dio. Con questo sublime atto di carità il Redentore si donava interamente al Padre quale vittima riparatrice dei nostri peccati.Tutte le colpe del mondo, commesse dall'uomo fin dalla sua prima caduta, gli apparvero a miriadi nella loro completa mostruosità. Nella sua sconfinata angoscia, Gesù supplicò il Padre celeste di perdonare i pensieri malvagi e le offese degli uomini, offrendogli in cambio la sua suprema espiazione. La grotta si era affollata di forme spaventose, immagini delle passioni, dei vizi e delle malvagità del genere umano. Vidi il Redentore abbandonarsi alla sua natura umana e prendere sopra di sé le nefandezze del mondo.

Gesù diede se stesso per me, sacerdote peccatore, in questo sublime atto di carità. Lui, l’Agnello di Dio, ha preso su di sè i miei orribili peccati. Ed io come faccio a ringraziarlo? Almeno a mostrarlo un po di riconscimento? In quella notte del Giovedì Santo, così affollata di chiamate d’assistenza agli ammalati, mi è venuta la parola del testo di Don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule: Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché, di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia.

Ordinariamente, non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale citato nel Vangelo. Il quale Vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù della notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto tipicamente sacerdotale. Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le pianete di samice d’oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine d’argento (p.46-47).

Trafitto con queste parole semplici, diretti, umili e di forte richiamo alla verità della mia chiamata ministeriale, con le lacrime sacerdotali cappuccine, nei miei occhi stanchi ma contriti, ho guardato al crocifisso che porto nella taschina del mio saio cappuccino, e ho detto cuore a cuore: “Mio Signore, accogli la mia fatica, in questa notte del Giovedì Santo, come il mio atto di carità verso di te, O mio umile ed infinito Salvatore. Amen”.


 


Altre Notizie su

Cultura e Società > Riflessioni






 
Sostenitori
 
 
© 2011/25 - Filo Diretto News | Reg. Tribunale di Messina n° 4 del 25/02/2011 | Dir. Resp. Domenico Interdonato | Condirettore Armando Russo
Redazione - Via S. Barbara 12, 98123 Messina - P.Iva 02939580839