MALTA
Pensieri nella notte del Giovedì Santo
di Fra Mario Attard
 La notte del Giovedì Santo sono
qui. All’ospedale di Mater Dei. L’ospedale nazionale di Malta. Precisamente nel
turno di notte. Corro come un cavallo per assistere gli ammalati. E, sostenuto
dalle parole tratte dal messaggio di Papa Francesco per la XXIII Giornata
Mondiale del Malato: “Il tempo passato accanto al malato è un
tempo santo, sto correndo, a volte come un pazzo.
Per essere lì! Accanto a Lui che soffre e sta soffrendo, anche ora, nel
fratello e nella sorella malato e malata!. Ecco
la vita sacerdotale. La vita che appartiene a Colui che, come ci dice perfettamente
il Salmo 121, non sonnecchierà né dormirà (Salmo 121,4). Per, ovviamente, proteggere Israele. Il nuovo Israele. La Chiesa.
Perché è soltanto in essa che l’Israele di Dio è veramente realizzato. Corro!
Cammino! Nella fatica. La stessa fatica che Gesù soffri il Giovedì Santo alla
notte. La fatica di Colui che ci ha amati sino alla fine (Gv 13,1). Poi, la mia
mente, in questa notte così santa, quando Gesù istitui i sacramenti
dell’Eucaristia e dell’Ordine Ministeriale, cominciava a pensare il prezzo del
suo amore verso tutti noi, peccatori. Mi è venuto nel mio cuore questo bel
passaggio della beata Anna Caterina Emmerick che racconta l’angosica mortale di
Gesù nell’orto degli Ulivi.
Così
dicendo, nella sua sconfinata angoscia interiore, Gesù scese per un piccolo
sentiero ed entrò in una grotta profonda sei piedi. Vidi spaventose figure
affollare minacciose la stretta caverna dove il Signore si era ritirato a
pregare. Fu qui, ai piedi del monte degli Ulivi, che Adamo ed Eva piansero
disperati il loro peccato. Vidi i nostri progenitori nello stesso luogo in cui
Gesù depose la sua divinità nelle mani della santissima Trinità, affidando la
sua innocente umanità alla giustizia di Dio. Con questo sublime atto di carità
il Redentore si donava interamente al Padre quale vittima riparatrice dei
nostri peccati.Tutte
le colpe del mondo, commesse dall'uomo fin dalla sua prima caduta, gli
apparvero a miriadi nella loro completa mostruosità. Nella sua sconfinata
angoscia, Gesù supplicò il Padre celeste di perdonare i pensieri malvagi e le
offese degli uomini, offrendogli in cambio la sua suprema espiazione. La grotta
si era affollata di forme spaventose, immagini delle passioni, dei vizi e delle
malvagità del genere umano. Vidi il Redentore abbandonarsi alla sua natura
umana e prendere sopra di sé le nefandezze del mondo”.
Gesù diede se stesso per me,
sacerdote peccatore, in questo sublime atto di carità. Lui, l’Agnello di Dio,
ha preso su di sè i miei orribili peccati. Ed io come faccio a ringraziarlo?
Almeno a mostrarlo un po di riconscimento? In quella notte del Giovedì Santo,
così affollata di chiamate d’assistenza agli ammalati, mi è venuta la parola
del testo di Don Tonino Bello, Chiesa,
Stola e Grembiule: Forse a
qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola
col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio. Sì, perché,
di solito, la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove, con tutti gli
altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua
seta e i suoi colori, con i suoi simboli e i suoi ricami. Non c’è novello
sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima
messa solenne, una stola preziosa. Il grembiule, invece, ben che vada, se non
proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove,
intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della
buona massaia.
Ordinariamente,
non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore per un giovane prete.
Eppure è l’unico paramento sacerdotale citato nel Vangelo. Il quale Vangelo,
per la messa solenne celebrata da Gesù della notte del giovedì santo, non parla
né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo
panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi con un gesto tipicamente
sacerdotale. Chi sa che non sia il caso di completare il guardaroba delle
nostre sacrestie con l’aggiunta di un grembiule tra le dalmatiche di raso e le
pianete di samice d’oro, tra i veli omerali di broccato e le stole a lamine
d’argento (p.46-47).
Trafitto con queste parole
semplici, diretti, umili e di forte richiamo alla verità della mia chiamata
ministeriale, con le lacrime sacerdotali cappuccine, nei miei occhi stanchi ma
contriti, ho guardato al crocifisso che porto nella taschina del mio saio cappuccino,
e ho detto cuore a cuore: “Mio Signore,
accogli la mia fatica, in questa notte del Giovedì Santo, come il mio atto di
carità verso di te, O mio umile ed infinito Salvatore. Amen”.
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