FESTA POPOLARE
Catania si ferma per rendere omaggio alla sua patrona Sant’Agata
di Graziella Lo Vano
 Nei
giorni 3, 4 e 5 febbraio la Città di Catania si ferma per rendere omaggio alla
sua patrona Sant’Agata. La Vergine catanese si venera, pure in diverse regioni
italiane dalla Puglia, alla Lombardia, dall’Emilia Romagna al Piemonte, solo
per citarne alcune, oltre che in Spagna; in Belgio a Berchem-Sainte-Agathe; in
Francia, in Savoia e in Provenza, nell’Isola de La Rèunion; a Malta, a San
Marino, Germania, Paesi Bassi, Canada a Sainte Agathe des Monts, Brasile a
Città di Pesqueira e in altre ancora. Ma è nella città etnea che accorreranno a
migliaia da tutte le nazioni del mondo, come ogni anno, per poter assistere
alle celebrazioni che costituiranno un’amalgama tra componenti religiose e
folcloristiche in un mix di storia, fede e tradizione. Proprio per l’alta
affluenza di gente, è stata classificata come la terza festa religiosa più
partecipata a livello mondiale e inserita nel Reis, il registro delle eredità
immateriali, per il riconoscimento ufficiale da parte dell’Unesco. La civita in
questi tre giorni, si ferma letteralmente, per rendere omaggio alla sua cittadina
più illustre e amata.
Agata
(dal greco Agathé, che significa buona, virtuosa), nacque a Catania intorno al
235 d.c., da Rao e Apolla, in una nobile e ricca famiglia che educò la figlia
alla religione cristiana. Così, Agata crescendo in candore e purezza, all’età
di quindici anni, volle consacrarsi totalmente a Dio, ricevendo da parte del
vescovo, durante la cerimonia della velatio,
l’apposizione del flammeum, cioè il
velo rosso portato dalle vergini consacrate. È, infatti, raffigurata in questo
modo, nel mosaico di Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo, con la
tunica lunga e la stola a tracolla, in un abbigliamento che lascia supporre che
fosse diventata diaconessa. A Catania, a quel tempo era stato inviato a
rappresentare il potere centrale di Roma, il proconsole Quinziano, uomo
prepotente e duro che, eseguendo la legge dell’impero, perseguitava i
cristiani, per cui accusando Agata di vilipendio della religione di stato ne
ordinò la cattura. A questo punto, la tradizione popolare racconta che Agata
per sottrarsi all’arresto, scappa, rifugiandosi in un borgo vicino la città, a
Galermo; altri indicano Malta o Palermo. In ogni caso, viene catturata e
condotta davanti a Quinziano che appena la vede rimane ammaliato dalla sua
bellezza e fa di tutto per conquistarla.
I
suoi tentativi, però, non ebbero nessun effetto su Agata. Furioso allora
Quinziano, la processò, torturò ripetutamente e, infine, facendole strappare le
mammelle con delle grosse tenaglie. Pare, però, che dopo la visione di San
Pietro, la carne della giovane, risultasse sanata. Non riuscendo ad
assoggettare la ragazza alla sua volontà, il proconsole quindi, sempre più
inferocito, la condannò a essere bruciata viva sui carboni ardenti. Ma mentre
la giovane veniva arsa, un violento terremoto scosse la Città, per cui la folla
spaventata ne chiese la sospensione. Ancora agonizzante, Agata fu riportata
nella sua cella, dove morì dopo qualche ora. Correva l’anno 251. Pare – così,
racconta ancora la tradizione popolare – che mentre il fuoco bruciava le sue
carni, il velo che lei indossava restava, invece, intatto. Per questa ragione, “il
velo di sant’Agata” diventò da subito una delle reliquie più preziose. Infatti,
è stato portato più volte in processione, di fronte alle colate della lava dell’Etna,
avendo il potere di fermarla. Ecco perché, la Santuzza, viene rappresentata
sempre con una palma e con un piatto in mano, contenente i seni e le tenaglie (da
questo evento, derivano anche i caratteristici e gustosi dolci siciliani di
forma rotonda, glassati con una ciliegia candita sulla sommità, chiamati
appunto: le “minne di Sant’Agata”).
La
devozione nei riguardi di Sant’Agata si espanse subito. L’anno successivo la
sua morte, il 5 febbraio 252, una violenta colata lavica si fermò davanti al
velo di Agata, portato in processione da cristiani e pagani spaventati. E, così,
fu fatto in occasione di altri eventi drammatici, consacrando la fanciulla
vergine e martire, patrona di Catania. Altri episodi straordinari si rilevarono
ancora nel corso dei secoli. Tra le più disastrose, viene ricordata quella del
1669, quando per sessantotto giorni, il vulcano eruttò lava e lapilli,
distruggendo molti paesi, fino a minacciare Catania e circondare il fossato del
Castello Ursino. Ma il magma, arrivato a una distanza di qualche centinaio di
metri dalla Basilica e dai luoghi dove Agata aveva sopportato il martirio ed
era stata sepolta, fu fermato sempre dal velo della Santuzza. La lava deviando
il suo percorso, si riversò in mare dove continuò la sua strada, ancora per
alcuni chilometri. Ma in quella terribile eruzione, si racconta anche un altro
evento prodigioso: di un’edicola, dove si trovava un dipinto della Santa
Vergine, che venne trasportato lungo il fiume, restando intatto; ancora adesso,
si può ammirare nella città catanese della chiesa di Sant’Agata alle sciare.
Nei
secoli, sono molti gli eventi catastrofici quali peste, colera, eccidi,
invasioni nemiche contro i quali è stato chiesto l’intervento della Santa e nei
quali si sono avuti eventi prodigiosi e miracoli. L’ultimo nel 1886, quando la
colata lavica che stava per lambire la città di Nicolosi si fermò, appunto, di
fronte al miracoloso velo. Nel tempo la Santuzza, è diventata anche protettrice
dei pompieri e invocata in occasione di incendi, terremoti, disastri naturali.
Viene implorata anche da donne con il tumore al seno, panettieri, gioiellieri e
fonditori di campane. Il primo giorno dei festeggiamenti, quindi, migliaia di
devoti, di buon mattino, si avviano verso la cattedrale, indossando “u saccu”,
(una sorta di saio bianco) fermato alla vita da un cordone e guanti dello
stesso colore e una papalina nera in testa. In mano, stringono un fazzoletto
bianco che viene sventolato in particolari momenti delle celebrazioni. Primo ed
emozionante evento atteso dai catanesi durante la messa delle sei, è il momento
dell’uscita dalla “cammaredda” (cappella) delle spoglie della santa, dove
vengono custodite durante l’anno. La cappella per i suoi raffinati affreschi
cinquecenteschi è visitata da migliaia di turisti, che solo in questi giorni
possono ammirarla, restando chiusa per tutti gli altri mesi.
Le
reliquie della Santa, nel busto d’argento (opera del 1376), che reca sul capo
una corona, dono secondo la tradizione, di re Riccardo Cuor di Leone, vengono
poste sul Fercolo foderato anch’esso d’argento e poi trascinato da centinaia di
devoti che si alternano ai due cordoni lunghi un centinaio di metri. La vara è
adornata con un tappeto di fiori rosa, simbolo del sangue e, quindi, del martirio
subito dalla Santa, mentre giorno 5 è addobbato con garofani bianchi a
significare la purezza della vergine Ajtuzza. L’uscita della Santa viene
annunciata da uno scampanellio di campane che suonano a distesa, mentre
centinaia di migliaia di devoti e turisti formano un tappeto umano nella piazza
antistante la cattedrale. La processione viene anticipata da 13 “candelore” o “cannalori”
di pregiata fattura manuale, rappresentanti le corporazioni artigiane dei
lavoratori locali dai “pisciari” (pescatori), ai “chiancheri” (i macellai).
Sono in legno, riccamente scolpite e dorate, di diverso stile: dal barocco
siciliano al gotico o al rococò, si estendono in verticale. Sono gli uomini
delle stesse corporazioni – da quattro a dodici, secondo il peso – che si
alternano nel portarle a spalla con un’andatura dondolante, chiamata dai
catanesi “a’nnacata”. Tutto avviene fra ali di folla che agita bianchi
fazzoletti al grido: “Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti e altri con
convinzione rispondono: Sì, sì”.
Altri
momenti suggestivi e attesi della processione si avranno nella sosta del corteo
di fronte al monastero delle suore benedettine “nella salita di San Giuliano”,
quando solo in quest’occasione verranno fuori e da dietro i cancelli
dedicheranno dei canti alla vergine Agata, con voce definita “celestiale”. Altro
aspetto devozionale e folcloristico che incuriosisce i turisti, sono i quintali
di ceri che, ininterrottamente, vengono poggiati sulla vara come ex voto; ma
sono anche di più i devoti che seguono il corteo trasportando sulle spalle dei
ceri accesi lunghi oltre mezzo metro e con pesantezza che può arrivare fino a
settanta chili e oltre, pari al peso corporeo della persona che ha ricevuto la
grazia. Naturalmente, la cera che si va sciogliendo sui lastroni di lava di cui
sono pavimentate le strade della Città, produce degli eventi catastrofici, con
aumento di scivoloni e cadute pericolose. La processione si snoderà,
ininterrottamente, nei due giorni, per concludersi con il rientro in
cattedrale, nella tarda mattinata di giorno sei. Ma la civita non si limita a
festeggiare la sua Patrona, solo in questi tre giorni, numerose sono le
cerimonie e il programma che apre le celebrazioni. Sono già iniziate il 2
gennaio, con la presentazione in arcivescovato, delle associazioni agatine,
degli ordini cavallereschi, i rappresentanti delle candelore e le massime
autorità civili ed ecclesiastiche, quali il sindaco, Salvo Pogliese, l’arcivescovo
metropolita, Salvatore Gristina, con il presidente del Comitato Organizzatore,
Francesco Marano.
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